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 2021  gennaio 13 Mercoledì calendario

Intervista al generale Nistri (che lascia il vertice dei carabinieri)


Il generale Giovanni Nistri tra due giorni lascerà il vertice dei carabinieri dopo tre anni decisamente intensi, segnati anche da un’emergenza senza precedenti: la pandemia. «Mi hanno appena comunicato che un altro militare, il ventesimo, è morto per il Covid.Eppure sin dall’inizio dell’epidemia nessun comando dell’Arma si è fermato: l’unica parte d’Italia che non ha mai chiuso. E questo non per decisione dei comandanti, ma per volontà dei militari, consapevoli di essere il punto di riferimento delle comunità».Il virus sta creando prospettive preoccupanti per la sicurezza...« La crisi economica e sociale creata dalla pandemia offre una grande occasione alla criminalità organizzata. Aggredisce le attività commerciali con la sua disponibilità economica. Può arruolare manovalanza a basso costo. Ed è aumentato il rischio di infiltrazione negli appalti che saranno alimentati dai fondi Ue».Le mafie sono interessate anche a innescare la rivolta sociale?«Abbiamo registrato un fiorire di iniziative ribelliste, che hanno origini diverse e puntano a cavalcare la crisi.Ma c’è un altro aspetto da tenere presente: quante sono le aziende che rischiano di non reggere? Sono sofferenze che potrebbero degenerare nello stesso momento.C’è però un’ampia convergenza di analisi tra le forze di polizia per monitorare l’evolversi della situazione e mettere in campo una prevenzione all’altezza».Il ricordo più bello e il più brutto di questi tre anni?«Il più bello è stata la liberazione dei 51 bambini e dei tre insegnanti in ostaggio sull’autobus a San Donato nel 2019. Ha dimostrato l’efficacia del nostro dispositivo territoriale e della struttura di comando. Appena è giunta la segnalazione, l’operatore della centrale ha dato le disposizioni giuste: ha mobilitato 4-5 pattuglie attive sulla strada che in pochi minuti sono intervenute e hanno risolto la situazione senza usare la forza. Il momento più difficile è guardare negli occhi vedove, figli e genitori dei caduti in servizio: una sofferenza intima, che non vorresti mai dovere affrontare».L’inchiesta di Piacenza ha colpito l’opinione pubblica. Lei ha preso posizione con determinazione e sospeso i militari sotto indagine.Resta una domanda: come è stato possibile?«In un corpo sociale che ci possano essere delle deviazioni è purtroppo ipotizzabile: nessuna organizzazione ne è immune. Devo premettere che sia il processo penale che la procedura disciplinare sono in corso: non posso anticipare valutazioni.Certamente c’è stata una carenza complessiva nell’azione di controllo, che è anche fatta di dialogo e di conoscenza. A questa falla si sono aggiunte situazioni particolari, ma il quadro mi porta a confermare la necessità di aggiornare una serie di strumenti a disposizione della linea di comando, risalenti al 1975. Da allora sono nate norme come quelle sulla privacy: quarant’anni fa un comandante aveva mille possibilità di valutare il comportamento nella vita privata dei militari, cose che oggi sono fuorilegge. Ma va ricordato che da allora è cambiato il ruolo della polizia giudiziaria, gestita dalla magistratura: se un arresto viene convalidato, allora sono portato a ritenere che sia avvenuto con tutti i crismi».Dopo Piacenza lei ha chiesto di cambiare il regolamento generale dell’Arma.«Il regolamento generale risale al 1911 e non viene aggiornato dagli anni Novanta. Ci sono aspetti valoriali che sono la nostra pietra miliare e lo resteranno sempre: libertà d’azione, spirito di iniziativa e senso di responsabilità. Altre norme sono obsolete e vanno riviste, ad esempio, per considerare l’impatto dei social media: bisogna bilanciare le esigenze di libera espressione e le limitazioni legate ai doveri di un carabiniere.Inoltre, abbiamo chiesto di cambiare le procedure disciplinari per potere arrivare a conclusioni anche nei casi in cui, a fronte di situazioni giuridiche inizialmente non pienamente conoscibili, l’iter giudiziario consente di acquisire elementi certi, senza attendere la sentenza della magistratura. Nel regolamento verranno chiarite pure le responsabilità della catena gerarchica in caso di controllo mancato, omesso o superficiale».Anche in episodi drammatici, come l’uccisione del brigadiere Mario Cerciello Rega, sono emerse situazioni che denotano quantomeno un metodo operativo disinvolto. Cosa non ha funzionato?«Il brigadiere Cerciello era lì per compiere un servizio ed è morto per fare il proprio dovere. Mi rendo conto tuttavia che talvolta la routine, soprattutto quando l’attività operativa è intensa, possa portare a sottovalutare il pericolo e i contesti.Per questo abbiamo definito e presentato a ogni stazione le disposizioni su come meglio gestire gli interventi in borghese, a tutti i livelli».Veniamo al processo Cucchi: lei ha definito “traditori” i militari condannati in primo grado. E ha chiesto che l’Arma fosse parte civile nel processo contro la catena gerarchica accusata di avere contribuito a occultare la verità. Ma oggi l’avvocato della famiglia Cucchi ha criticato la vostra posizione nel processo...«Quella di costituirci parte civile è stata una scelta fatta con sofferenza di fronte a gravità dei fatti e alla necessità di tutela del buon nome dell’istituzione. Per fortuna, del dibattimento si occupano fior di professionisti, che sono gli avvocati dello Stato in rappresentanza della Presidenza del Consiglio: agiscono in totale autonomia per tutelare il prestigio della pubblica amministrazione, nell’accertamento della verità processuale. Non è un ruolo oppositivo nei confronti del pm, ma neppure di ruota di scorta».Che Arma dei carabinieri lascia al suo successore, il generale Teo Luzi?«Lascio un’istituzione solida, che mantiene il suo ruolo di riferimento indiscutibile nella sicurezza, che è tecnologicamente aggiornata e ha il desiderio di procedere sulla strada dell’innovazione. Dopo un periodo di riduzione, sta recuperando progressivamente il personale ed entro il 2026 dovrebbe arrivare a quasi colmare i vuoti nei ranghi, arrivati a toccare le 10 mila unità».Oggi l’età media dei carabinieri è di 44 anni. Ci sono diverse misure allo studio per abbassarla. Lei ha anche proposto di creare una sorta di “carabinieri stagisti”.«Sono rimasto affezionato al concetto di carabiniere ausiliario dei tempi della leva. Erano elementi freschi, che poi tornavano alla vita civile mantenendo un legame con l’Arma: un doppio arricchimento. Riteniamo che ci possa essere un bacino di diplomati o laureati che siano interessati a fare un’esperienza di 12-18 mesi, con una retribuzione ridotta, che li qualifichi in vista dei concorsi e che li inserisca nei nostri valori, ottenendo da loro idee e professionalità nuove».