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 2021  gennaio 13 Mercoledì calendario

Intervista a Vanessa Ferrari

Profondamente cambiata da quel 2006 quando 14enne volò ad azzannare il mondo (prima ginnasta italiana della storia a vincere il concorso generale a un Mondiale), dentro uno sport profondamente cambiato: «Adesso gli atleti sono molto più seguiti, le attrezzature sono diverse, i metodi si sono evoluti. Io ho avuto problemi alimentari e ora c’è il nutrizionista: in Italia ho fatto spesso da apripista». Ma con due compagni di viaggio, sempre gli stessi, a condividere allenamenti e fatiche: il dolore («Credo che bene bene non starò mai, anche perché se stai bene forse non ti sei allenato abbastanza, ma mi accontenterei di stare decentemente») e quell’idea a martellare in testa, chiamata Olimpiade. Tokyo ex 2020, speriamo 2021, sarebbe la sua quarta. Se volete capire cos’è la determinazione, ascoltate la storia di Vanessa Ferrari, 30 anni, da Brescia, nostra signora della ginnastica.
Vanessa, perché siamo ancora qui?
«Il desiderio di non avere rimpianti per non averci provato, ancora una volta».
Dica la verità: se su una mensola di casa ci fosse una medaglia olimpica lei starebbe studiando, con l’Esercito che la segue dal 2009, la fase 2 della sua carriera.
«Non credo, sa? Sono stata ferma quasi un anno, lì ho pensato di ritirarmi, il tendine rotto nel 2017 non guariva. Mi sentivo sfigata. Poi la riabilitazione, difficile. E la voglia che tornava: credo che sarebbe successo comunque».
Il suo rapporto con le Olimpiadi è maledetto: nel 2008 quando è una delle più forti al mondo sta male, nel 2012 la beffa dell’ex aequo senza medaglia, nel 2016 fa un passettino di troppo, nel 2020 l’Olimpiade la cancellano. E ora?
«E ora devo conquistarmi il pass, l’11-13 marzo a Doha. Purtroppo non sono più in testa io: a Baku, un anno fa, hanno interrotto la gara decisiva a metà, dopo la qualifica. Vede, avevo male all’altro tendine, ho semplificato l’esercizio, giusto quello che bastava per andare in finale, quando contava. Ma per via del virus la finale non si è mai disputata. E, nonostante il regolamento, hanno tenuto buoni i punteggi delle qualifiche».
Come l’ha presa?
«Malissimo».
A parte i sospetti che il criterio sia servito per favorire una giapponese, quello che interessa a noi è che per l’Italia c’è un posto e ora lei è dietro Lara Mori. Come vive questa competizione interna?
«Con Lara siamo amiche, se non dovessi andare io sarei felice che andasse lei, ma evitiamo l’argomento».
Così ha deciso di tornare a esercitarsi in tutti e quattro gli attrezzi, parallele, trave, volteggio e corpo libero, lei che si dedicava solo al corpo libero. Una follia.
«Una mia idea, nata durante il lockdown, quando ero chiusa in casa. Baku mi bruciava, l’Olimpiade veniva spostata, così ho detto: “sfruttiamo questo tempo, aumentiamo le mie possibilità”. Così potrei anche andare a Tokyo con la squadra».
Com’è stato ricominciare?
«Non salivo sulle parallele da Rio 2016. La prima settimana un disastro, non riuscivo a starci attaccata, non avevo forza negli avambracci, avevo smesso di potenziarli. Ma dopo due mesi avevo ripreso a fare l’esercizio di Rio».
Che cosa faceva durante il lockdown?
«Mi allenavo in garage, tre ore e mezza al giorno, ne ho approfittato per curare il potenziamento. Quando la palestra ha riaperto ero quasi più in forma di prima».
Come sono le giovani azzurre, tutte molto promettenti, rispetto a com’era lei?
«È difficile dirlo, è tutto cambiato, Enrico (Casella suo allenatore e c.t., ndr) è invecchiato, è molto più buono!».
Ha citato i suoi problemi alimentari, vuole dare qualche consiglio alle ragazze?
«Devi andare da uno specialista, non saltare i pasti, mangiare correttamente, bere tanto, lasciar perdere la bilancia, soprattutto non seguire le diete delle amiche, dei genitori o dell’allenatore. Sui social poi c’è pieno di sciocchezze. Un cioccolatino non è la fine del mondo: più cerchi la perfezione, peggio è».
Lei ora come si regola?
«Vicino alle gare sto più attenta, ma senza esagerare con le restrizioni, sennò ti mancano le forze e i muscoli ne risentono. A Pechino siamo arrivate troppo magre».

Sono molto cambiati i metodi di allenamento?
«Prima del dominio Usa, c’era il modello dell’Est, con gli allenamenti durissimi che tutto l’Occidente pensava di dover imitare. In alcuni casi abbiamo chiesto troppo ai nostri corpi. Io ho fatto un po’ da apripista, alcune cose sono cambiate dopo i miei problemi. Poi sta all’intelligenza dell’allenatore dosare. Il segreto è stare un filo sotto al tuo limite per migliorare sempre».
E qual è il suo limite?
«Chi lo sa? Non è ancora il momento di smettere».