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 2021  gennaio 13 Mercoledì calendario

Pannella, Aron, Sciascia e i due Clint di Mughini

«Il lunedì all’ora di pranzo una voce femminile mi chiamò a dirmi che “mia madre non ce l’aveva fatta”. Ho il ricordo di quella telefonata e di quella voce come la più grande vergogna della mia vita. Ho lasciato che mia madre se ne morisse in una stanzetta in cui non c’era nulla di suo, in cui non ravvedeva nulla che le fosse familiare, in cui non le era accanto nessuno o meglio non le ero accanto io, la sola persona al mondo che per lei contasse. Ero stato talmente vigliacco da lasciare che questo accadesse. E anche se non so esattamente che coscienza mia madre avesse di tutto questo in quegli ultimi mesi del suo vivere senza parole e senza alcuna comunicazione possibile. Sono passati vent’anni da quella telefonata del 2001, e non riesco a darmene pace, a non provare vergogna di me stesso. Madre, madre mia, che avrei dovuto fare per te, che avrei potuto fare per te che non parlavi più? Quali gesti avrei potuto compiere ad alleviare la tua agonia?».
Ecco, non pensate che il resto del libro abbia meno tensione narrativa di queste righe. Non crediate che le altre 282 pagine, le altre migliaia di parole siano scelte con meno cura. Perché se è vero che il breve capitolo dedicato alla vita, alla malattia e alla morte della madre ne segna uno dei vertici drammatici, è vero anche che questo Nuovo dizionario sentimentale, che Marsilio manda domani in libreria, non perde mai un colpo, non nasconde nulla dell’animo del suo autore, Giampiero Mughini.
L’ispirazione è la stessa che animò, quasi trent’anni fa, il suo primo Dizionario sentimentale: l’idea che la bellezza, i sentimenti, le passioni siano incomparabilmente più importanti della politica, dei partiti, dell’ideologia; non solo nelle innumerevoli vite private, ma anche nel divenire del mondo e della storia. Nel Nuovo dizionario sentimentale, il filo rosso che unisce storie all’apparenza molto diverse è il tema del distacco, della perdita, dell’addio. Anche quando deve raccontare la furia amorosa con cui è entrato nella sua quotidianità il nuovo cane, Clint, Mughini lo affianca subito con l’immagine dell’altro cane di famiglia, che si chiama Bibi come Brigitte Bardot, e come la Bardot «non è più una ragazza. I suoi anni di cane corrispondono più o meno ai miei anni di uomo… Per l’età che abbiamo io e Bibi, forse sì e forse no mi toccherà il dolore insopportabile di vederla morire, un dolore il cui solo pensiero mi annienta e dopo il dolore lancinante provocato dalla morte di mio padre, poi di mia madre, e infine dei due miei fratelli che erano parecchio più grandi di me». Ma è quasi altrettanto doloroso l’addio ai giornali, in cui Mughini ha passato una vita: sarà molto letto e commentato nell’ambiente il paragrafo in cui rievoca la sua rottura con il settimanale «Panorama» («per quella nota spese da centottanta euro», e per un anonimo vicedirettore). Così come farà discutere il capitolo intitolato Quando i terroristi erano degli ebrei, in cui viene ricostruita la lunga e dura battaglia contro gli inglesi e contro gli arabi per dare al popolo di Israele una patria (ma sarà difficile contestare un nome o una data, anche perché tra le fonti c’è il formidabile libro autobiografico del capo dell’Irgun, poi primo ministro e Nobel per la pace, Menachem Begin).
Marzo 1944
Nel testo l’autore offre anche una ricostruzione minuziosa dell’attentato partigiano di via Rasella
In ogni pagina si nasconde un addio. L’addio incompiuto a Rosario Bentivegna e Carla Capponi, cui vengono negati ottanta centimetri quadrati di terra nel cimitero degli acattolici (chirurgica la ricostruzione dell’agguato di via Rasella e delle successive polemiche). Nel capitolo sul «Sessantotto della destra», dedicato alla rivolta contro la Terza Repubblica che sconvolse Parigi nel 1934, è messa in scena la morte di Raymond Aron, fulminato da un infarto mentre lascia il Palazzo di Giustizia dopo aver preso le difese, quasi cinquant’anni dopo, di uno dei protagonisti di quella remota stagione, Bertrand de Jouvenel.
Marco Pannella è raccontato nei suoi ultimi giorni, quando tutta la sua casa di via della Panetteria «sapeva di morte». Quanto a Sergio Tofano, l’inventore del signor Bonaventura, «lui che era un figlio del Novecento lo sapeva che se Leonardo fosse nato in questo secolo avrebbe girato degli spot pubblicitari o dei videoclip». Mentre Sciascia – cui si deve la distinzione dei tre gradi dello stendhalismo: quello in cui si crede che il più bel libro di Stendhal sia Il rosso e il nero, quello in cui ci si convince che sia La certosa di Parma, e il grado finale in cui si realizza che il vero capolavoro di Stendhal è la Vita di Henry Brulard — ammonisce che si comincia a morire quando si cominciare a dare via i libri.
Tuttavia questo Nuovo dizionario sentimentale non è affatto un libro triste. Semmai, malinconico e sdegnato. Assomiglia al primo Dizionario, che era «fatto di frantumi, di spezzoni, di continui volteggi dall’alto in basso e viceversa – come scrive Mughini, che in gioventù è stato ginnasta —. Andavo ora in una direzione ora in un’altra, l’importante ogni volta era lasciare delle orme, testimoniare una vita e le sue opzioni quanto di più contraddittorie». E nell’infinita vertigine delle contraddizioni, accade talora che la malinconia e lo sdegno cedano all’ammirazione per il bello, a quel tributo alla grandezza che Mughini è sempre pronto a pagare. Come quando racconta di essere rimasto incantato dal Clint Eastwood di Per un pugno di dollari: «Qualcuno scrisse che lungo tutto il film Eastwood aveva due sole espressioni: una quando aveva il cappello in testa e l’altra quando non lo aveva. Esattissimo. E che bisogno c’era di aggiungere una terza espressione con tutto quel “cinema” che era in atto nel film di Leone sequenza dopo sequenza?». E, in «quella guerra quotidiana che noi chiamiamo pace», la sola cosa che conta è «la responsabilità, le leggi che ognuno di noi si dà, la parola data, l’onore dei piccoli quanto accurati gesti che pure distinguono ogni uomo da tutti gli altri, la nobiltà del silenzio rispetto alla volgarità andante, l’uomo senza nome che è venuto da lontano e che guarda dritto in fronte un avversario che mai e poi mai colpirebbe alle spalle. Che altro c’è di importante nella vita?».