Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  novembre 09 Venerdì calendario

De Nicola privato

Ciro Langella era un uomo piccolo, magro e senza mestiere. Sobrio non era quasi mai. In giorni impensati s’ affacciava al balcone della villa dove viveva dichiarandosene il custode e faceva discorsi sconclusionati. Divenne popolarissimo perché la villa in cui prese a vivere abusivamente era la villa di Enrico De Nicola a Torre del Greco, alle pendici del Vesuvio, e il balcone era quello dal quale don Enrico guardava il golfo di Napoli. Dopo anni di abbandono, la villa di De Nicola, che gli eredi vendettero alla Provincia di Napoli per 50 milioni negli anni Sessanta, è stata restaurata e gran parte dei quattromila volumi della biblioteca, che erano stati trafugati, è stata recuperata. Di recente il presidente Napolitano ha visitato l’ edificio destinato a sede di una Scuola forense e di un Centro studi di storia delle istituzioni repubblicane. Cade oggi il 130° anniversario della nascita di Enrico De Nicola. La sera andavamo dal Presidente. Questo succedeva a metà degli anni Cinquanta. Studiavamo giurisprudenza con una ragazza torrese, Carmen Carrino, e salivamo lungo via Curtoli e oltre per raggiungere la villa in stile liberty di De Nicola e prendere da lui lezioni di diritto. Sui due pilastri dell’ ingresso c’ era scritto “Inveni portum”. La scritta l’ aveva voluta lui stesso. La villa, costruita dall’ ingegnere Platania, lo stesso che costruì gli alberghi Excelsior di Napoli e Roma, era un edificio bianco a un piano immerso in mille metri quadrati di pineta e giardino. De Nicola ci visse per più di cinquant’ anni. Diceva: «Questo è il mio teatro. Non mi delude mai. Qui le scene cambiano di ora in ora a seconda della luce del giorno e l’ incanto è sempre nuovo». La biblioteca era immensa. Vedemmo un mobile portagrammofono, una dormeuse e una bouaserie in legno, una dispensa color ciliegio. Sulla scrivania di legno intarsiato c’ erano due calamai d’ inchiostro: uno l’ usava per scrivere le lettere private, l’ altro per quelle ufficiali. De Nicola era proprio come lo descrisse una volta Nicola Adelfi, «un uomo che trasportò fino oltre la metà del ventesimo secolo tutte le buone cose dell’ Ottocento». Non amava parlare il dialetto napoletano, ma era un appassionato lettore delle poesie di Di Giacomo. «Le leggo quando sono di cattivo umore» diceva. Il nostro tramite fu la governante tedesca, Franziska Schnell, una donna energica che assisteva e proteggeva De Nicola oltre ogni limite. Ci aveva preso in simpatia. Allora, il giardino della villa era curatissimo, tenuto in ordine da un giovane guardiano, Armando Cuciniello, che badava agli oleandri molto amati dal Presidente. In strada era parcheggiata una vecchia 1100 Fiat verde scuro che De Nicola aveva usato negli ultimi tempi, guidata da un fedelissimo autista, per recarsi allo studio che aveva a Napoli al numero 35 di corso Umberto, vicino all’ Università. De Nicola aveva 77 anni ed era ancora dritto nella persona, coi capelli candidi, i baffetti bianchi, il volto allungato, gli occhi vivaci, impeccabilmente vestito. Frau Franziska ci servì il tè. Raccontò poco di sé. Era nato a Napoli il 9 novembre 1877. Suo padre, Angelo, commerciante, era emigrato in Argentina costrettovi dalle difficoltà economiche. Don Enrico rimase a Napoli con la mamma, Concetta Capranica. Laureatosi a 19 anni, cominciò a fare pratica nello studio dello zio Achille. S’ era stabilito a Torre del Greco quand’ era già un avvocato affermatissimo. Ogni mattina si recava a Napoli prendendo la Circumvesuviana delle 7,10 e rientrava a tarda sera, sempre in treno. Quando diventò capo provvisorio della Costituente e poi presidente della Repubblica per ventidue mesi, la villa fu la meta di un continuo via-vai di autorità e amici, tra i quali Giovanni Porzio e Benedetto Croce, per convincerlo ad accettare quegli incarichi, per affrontarne gli scatti umorali, per fargli ritirare le dimissioni sempre pronte. Staccava il telefono e si ritirava nella villa fra il dubbioso e lo sdegnato. Porzio, per convincerlo ad accettare la candidatura a capo dello Stato, tentò di commuoverlo dicendogli: «Ho sognato tua madre». E De Nicola: «Anch’ io l’ ho sognata: mi ha detto di non presentarmi candidato». Poi accettò e si recava a Roma col nipote, l’ avvocato Martinelli, unico bagaglio una piccola valigia di cuoio molto usata. Gli piacevano molto i gelati, soprattutto la “coviglia” che andava a gustare nella pasticceria “Van Bool & Feste” in piazza della Borsa a Napoli. Accompagnando l’ onorevole Tambroni al cancello della villa in una brutta giornata di freddo e pioggia, si buscò la broncopolmonite che gli fu fatale. Era l’ autunno del 1959. Morì il 1° ottobre di quell’ anno, a Torre del Greco. Era stato uno scapolo impenitente dopo un amore sfortunato. Negli anni Trenta furoreggiava a Napoli un’ affascinante pianista, Tina Filipponi, che suonava appassionatamente Chopin ed era corteggiatissima. De Nicola se ne invaghì, ma un tumore al cervello stroncò la giovane donna. Intransigente e bizzarro. Scaramantico, non prendeva mai decisioni al venerdì. Puntiglioso e suscettibile. A uno spettacolo al San Carlo gli fu assegnata una poltrona in platea, mentre Gronchi, divenuto presidente della Repubblica, sedeva nel palco reale. Per riparare alla gaffe, fu mandato un ufficiale dei carabinieri che lo invitò a raggiungere Gronchi. Replicò: «Questo posto hanno creduto di assegnarmi e qui resto». Si dileguò quando le luci del teatro si spensero e cominciò lo spettacolo. Elegante con l’ immancabile gilet e il cappello di feltro. Galante. Alla portinaia dello studio al corso Umberto, che gli apriva l’ ascensore e lo accompagnava al secondo piano, cedeva sempre il passo. Tenne quello studio per sessant’ anni. Un giorno fu piacevolmente sorpreso, sulla piazza di Montecitorio, da una parlamentare democristiana, Angela Maria Cingolani, che gli stampò un bacio su una guancia «a nome di tutte le italiane».