la Repubblica, 12 gennaio 2021
Il punto di Folli
Un vecchio detto popolare recita: “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”. Significa, come è ovvio, che le insidie non mancano mai quando i piani sono complicati e gli interessi divergenti. Il Capo dello Stato aveva disegnato un sentiero virtuoso per agevolare l’approvazione del Recovery plan – prima in Consiglio dei ministri e subito dopo alle Camere – così da presentarsi in Europa in ritardo, certo, ma ancora in tempo per non perdere l’anticipo dei finanziamenti.Dopodiché i partiti avrebbero regolato le loro pendenze, messo a punto un nuovo elenco di priorità e definito la rinnovata squadra ministeriale. Il che logicamente avrebbe comportato le dimissioni di Conte, tutelato però dalla prospettiva di un reincarico fondato sulla ritrovata concordia della maggioranza. Quindi una crisi breve, abbastanza extraparlamentare e un epilogo già scritto.Ma è sempre una questione di pentole e di coperchi. A quanto pare né il presidente del Consiglio né il suo avversario Renzi che pure aveva accolto senza entusiasmo ma con rispetto l’iniziativa di Mattarella riescono a stare in questo schema. Il primo perché si sente ormai un leader politico in ascesa ed è sempre più tentato dalla sfida in Parlamento tipo Ok Corral, con l’idea di umiliare Italia Viva riuscendo a salvare il governo o, in caso contrario, ritagliandosi un ruolo di protagonista nella successiva campagna elettorale. Il secondo perché vede le manovre di Conte e tenta di tagliargli la strada obbligandolo a salire al Colle subito dopo l’approvazione del Recovery in Consiglio. Ciò che avverrebbe se le ministre renziane lasciassero davvero le loro poltrone come da tempo annunciato.In fondo, Conte segue la logica di un’ambizione personale ormai quasi incontenibile, mentre Renzi non può accettare per i suoi un reingresso al governo che non sia nobilitato, diciamo così, da un passaggio istituzionale al Quirinale, cioè dalle dimissioni dell’avvocato del popolo. In tutto questo, è bene ricordarlo, fino a ieri sera pochi erano riusciti a vedere e tanto meno a studiare una bozza definitiva del piano governativo. Sappiamo solo che esso deve passare al vaglio del Parlamento per essere presentato all’Unione intorno a metà febbraio. Sappiamo altresì che l’Italia ha già accumulato un ritardo inquietante e che il rischio di perdere l’anticipo delle risorse stanziate (oltre 20 miliardi) comincia a creare ansia.Il presidente della Repubblica si è esposto in forma inusuale per smussare i contrasti e indicare una ragionevole via d’uscita dalla palude. Lo ha mosso la convinzione che l’Europa sta perdendo la pazienza, come tanti indizi indicano da settimane.Premere per l’approvazione del piano significa creare una rete di sicurezza, per far sì che i giochi domestici non producano effetti autodistruttivi. Ma il tessuto politico si sta lacerando e forse è tardi anche per quella che in brutto gergo politico si chiama una “crisi pilotata”, nonostante i buoni uffici del Pd e in parte dei 5S governisti. Vedremo. Stavolta i tuoni sono finiti e arriva la pioggia. Chi ritiene che si si a ancora in tempo per lo scenario della crisi breve e controllata, dovrà esibire un surplus di senso di responsabilità. Altrimenti c’è l’ipotesi di un cammino che comincia al buio, tale da portare o alle elezioni o a una nuova maggioranza di cui al momento non s’intravedono i contorni. Ma che, ove mai esistesse, dovrebbe farsi carico delle misure economiche e sociali necessarie, al di là dell’emergenza virus, in una primavera che si annuncia drammatica per le famiglie e le imprese.