la Repubblica, 12 gennaio 2021
Intervista a Ermal Meta
C’è insoddisfazione e insoddisfazione. Tra quella cantata dai Rolling Stones e quella di Ermal Meta ci sono di mezzo 55 anni e un’intera era geologica, non solo da un punto di vista musicale. No satisfaction, proprio così, in inglese, è il titolo del nuovo pezzo che uscirà il 15 e arriva, ci tiene a precisarlo, 1072 giorni dopo l’ultimo disco di inediti, e suona acido, sorprendente, arrabbiato.Cos’è, una stravaganza o un vero e proprio nuovo corso?«Capisco che il pezzo potrà sembrare strano, diverso dalle cose che ho fatto finora, ma più che una stravaganza lo definirei un episodio che magari fa intravedere cose nuove. Da piccolo ascoltavo di tutto e sono arrivato al metal, quindi il suono duro, quel fatidico basso, chitarra e batteria a me fa impazzire, e questa volta canto “non provo più satisfaction per questa new generation”. Insomma mi sembrava giusto cercare un approccio energico. È stata una scelta di pancia, tipo prendi la chitarra accendi tutti i distorsori che hai e comincia a suonare. L’ho vissuta così».Qual è la nuova generazione con cui se la prende?«Intendiamoci, non mi riferisco a quelli nati dopo di me, parlo di tutti, è un punto di vista su quello che siamo diventati, una unica new generation tecnologica. Una volta le macchine erano estensioni umane, sono nate così, oggi siamo noi estensioni delle macchine, prima c’era un uomo che teneva un telefono in mano adesso vedo un telefono che tiene un uomo attaccato. Una schiavitù che ci porta a essere rinchiusi, abbiamo tante finestre aperte ma le tende sono sempre più chiuse».Si percepisce una specie di rabbiosa amarezza. Ma questa carica di insoddisfazione è stata amplificata da quello che stiamo passando?«Ma sì, ora possiamo affrontare meglio le cose, ma all’inizio era la grande paura, io stesso mi ritrovavo la notte a non dormire, si respirava attraverso i social, anche perché non ci si poteva vedere. Si diceva: ne usciremo migliori. Ma non è vero niente, non siamo usciti migliori, l’odio è aumentato, moltiplicato, tutti contro tutti, una specie di arena dove vale solo la regola del sangue informatico. Sembra una rappresentazione del mondo ma non è così, il mondo è pieno di persone meravigliose ma chissà perché si vedono così poco. Il pezzo nasce dalla delusione, neanche stavolta siamo riusciti a migliorarci. Tutti a giudicare qualsiasi cosa, senza pensarci su, a volte mi sembra che i social raccontino un mondo parallelo. Se gli alieni arrivassero sulla Terra e cercassero di capire da questo il nostro mondo, penso che cancellerebbero il pianeta. Più che rabbia è un’analisi d’inverno, quando si sente molto freddo».Ma quando arriverà al Festival di Sanremo, dove è annunciato in gara con “Un milione di cose da dirti”, sarà quasi aria di primavera…«A me piace scrivere cose diverse, non appartengo a un genere. La musica è bella tutta, nella sua varietà, e così sarà il disco che uscirà nei prossimi mesi. Quella che porterò al Festival è una canzone d’amore, semplice, con pochi accordi, un pretesto musicale per raccontare qualcosa che per il mondo non sarà importante ma lo era per me quando l’ho scritta, anche per il modo in cui è nata. Di fatto non me sono accorto, è stato stranissimo».E come può succedere di scrivere una canzone senza rendersene conto?«Me ne sono accorto due o tre giorni dopo, mi sono messo al pianoforte e mi sono ricordato di aver scritto qualcosa che avevo elaborato e messo da parte perché lì per lì non mi suonava bene, invece tornava su, si stava prendendo il suo spazio, ho ritrovato il quaderno degli appunti e era lì, la canzone c’era e l’ho completata. Quando ho scritto Vietato morire era la mia storia ma poteva essere quella di tante persone, sapevo che avrebbe colpito molti. Anche quando con Fabrizio Moro abbiamo portato al Festival Non mi avete fatto niente, non abbiamo raccontato la nostra storia ma quella delle persone che potevano immedesimarsi e per questo abbiamo donato i proventi a Emergency. Questa è la mia storia, è molto personale, mi auguro che possa avere risonanza ma non so neanche se sia una storia, è un flusso di coscienza, per questo non mi ero reso conto di averla scritta. All’inizio volevo tenere solo piano e voce, poi era troppo, alla fine abbiamo inserito altri strumenti, ma tenendo al minimo il tutto».Tornando a “No satisfaction”, ha pensato che molti l’avrebbero collegata a “I can’t get no satisfaction"degli Stones?«Ma certo, la parola è entrata nell’immaginario musicale grazie a loro, ma gli Stones erano all’inizio, per loro era una liberazione del pensiero, oggi non c’è aria di rivoluzione, anzi. La mia è soprattutto delusione, come canto nel pezzo: “Siamo macchine perfette di parole e di saette, siamo macchine inventate da una mente un po’ animale”. Ma per reazione all’eccesso di tecnologia sono andato a incidere sul vecchio nastro magnetico, in analogico, nello studio di Toto Cutugno che ha un meraviglioso 24 piste, un’esperienza fantastica, una specie di “corrente elettrica versus codice binario”, e la corrente ha vinto alla grande».