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 2021  gennaio 12 Martedì calendario

L’arte verde di Lucia Petroiusti


Nello splendore di Hyde Park, all’interno della Serpentine Gallery, fra i curatori di uno dei più famosi musei della capitale britannica, c’è una giovane italiana: e questa sarebbe già una notizia. Ma Lucia Pietroiusti, ecco il suo nome, è curatrice di una disciplina creata apposta per lei, o meglio da lei stessa creata, “ecologia generale": e la notizia diventa ancora più interessante. A fare salire l’interesse alle stelle contribuisce in questi giorni Art Review, la più importante rivista internazionale del settore, includendola tra i Power 100, la classifica annuale dei cento personaggi più influenti nel mondo dell’arte. Trentacinque anni, laurea al Trinity College di Dublino in letteratura inglese e francese, poi due master, uno in studi di genere, l’altro sulla critica culturale, Pietroiusti lavora dal 2010 alla Serpentine, dove è entrata come collaboratrice, poi promossa assistente, quindi curatrice dei programmi pubblici. Figlia d’arte, suo padre è Cesare Pietroiusti uno dei fondatori dell’arte relazionale, sua madre Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli, si autodefinisce «una hippie pragmatica». Siamo andati a trovarla per capire cosa vuol dire.Come è nato, in un museo d’arte contemporanea, questo posto di curatrice dell’ecologia?«L’idea iniziale, confesso, è venuta dall’essere diventata madre: ero appena rientrata al lavoro dopo sei mesi di assenza per maternità e pensavo a questa creatura che mi era cresciuta in grembo e ora viveva accanto a me. Avere un figlio mi aveva insegnato almeno due cose».Quali?«La prima è che devi imparare a comunicare con un’altra specie.Certo, anche un neonato è un essere umano, ma non puoi comunicare con lui come con un adulto, devi trovare strumenti differenti. E la seconda lezione è che di colpo ti senti responsabile di qualcosa che va oltre la durata della tua esistenza. La dimensione temporale si allunga».Cosa c’entra con l’ecologia?«C’entra perché il rispetto dell’ambiente, del nostro pianeta, dell’universo in senso più ampio, in fondo passa per gli stessi concetti: come comprendere altre specie, dagli animali alle piante per tacere di eventuali alieni, e come proiettare le esigenze di uno sviluppo sostenibile non solo sull’arco della nostra vita ma sul lungo termine, su secoli o addirittura millenni».Ha parlato di idea “iniziale": poi ci sono stati altri contributi a sviluppare il concetto?«Certamente sì, a cominciare da un festival che ho curato per la Serpentine insieme all’artista Filipa Ramos intitolato “The Shape of a Circle in the Mind of a Fish”. La forma di un cerchio nella mente di un pesce: sembra un indovinello o un haiku, era invece una serie di eventi dal vivo il cui obiettivo è stato quello di immaginare un mondo di cui l’uomo non rappresenta più il centro».Il mondo devastato da deforestazione, inquinamento e consumismo?«Sì, ma non un mondo distrutto senza speranza, bensì un mondo che si può ancora salvare. E in cui l’uomo deve coesistere con altre realtà naturali. Può suonare come la scoperta dell’acqua calda, ma per cambiare le nostre azioni è necessario modificare prima le parole, il modo di pensare. E per questo è necessaria la fantasia, ovvero l’artista».Altre fonti di ispirazione?«Un movimento anni ’70 chiamato Deep Ecology che poneva l’accento sul rispettare non solo fauna e flora ma anche gli stessi umani: gli indigeni vittime della deforestazione, o gli attivisti ecologici che oggi sempre più spesso cadono sotto i colpi della repressione da parte del sistema».Di cosa si occupa dalla sua scrivania alla Serpentine?«Ci muoviamo su due fronti. Uno è visibile: mostre, seminari, workshop, discussioni pubbliche. L’altro è invisibile: la ricerca di un nuovo metodo di lavoro. Io lo chiamo network of intentions, un collegamento fra musei, educatori, gallerie d’arte, scuola, università, scienziati, esperti legali, associazioni ambientaliste, su come fare avanzare insieme i nostri progetti».La Serpentine è sola o ha un seguito?«Ci consideriamo una specie di piccolo parassita, con l’obiettivo di infettare, naturalmente in senso benigno, tutte le istituzioni. E mi pare che ci stiamo riuscendo. Non soltanto con i musei e gli artisti, ma coinvolgendo esperti e attivisti. Per esempio, c’è un lago in Colombia che ha appena ricevuto lo status di persona giuridica, con tutti i diritti che ne conseguono. Per arrivarci sono serviti fior di avvocati. Ma prima ancora bisognava immaginare che un lago potesse avere gli stessi diritti di una persona. E l’immaginazione è il terreno dell’arte».Passata la tempesta della pandemia, inviterà nel suo museo anche Greta Thunberg?«Greta ha un invito permanente a venire a trovarci. Spero di riuscire a trovare il modo di portarla qui. Non voglio aggiungere altro per ora, ma deve avvenire in un momento in cui sarà utile anche a lei, non solo a noi».