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 2021  gennaio 11 Lunedì calendario

Un numero di telefono vale dai 9 ai 50 cents. Inchiesta sui call center


Sanno tutto di noi, numero di cellulare in primis. Chiamano a ogni ora della settimana, giorno e notte, festivi compresi. A volte si arrendono al primo “no”. A volte insistono a martellare di telefonate lo stesso malcapitato. Chiamandolo anche 155 volte in un mese come è emerso in un’inchiesta del Garante della Privacy. Offrono un nuovo contratto per la luce, un cambio di fornitore di gas, una sottoscrizione “da sogno” con un nuovo operatore telefonico al posto del nostro abbonamento che (loro lo sanno già) ci sta per scadere.Benvenuti nel mondo a due volti del telemarketing. C’è quello delle aziende serie che danno lavoro, con regolare contratto, a 15-20 mila dipendenti e che rispettano la privacy dei consumatori. Ma a fianco dei call center ufficiali si è formata un’area grigia in cui le regole non esistono e «di cui è difficile capire le dimensioni anche se di sicuro non sono piccole», come spiega Riccardo Saccone, segretario nazionale della Slc-Cgil. È il cosiddetto universo dei “sottoscalisti” e dei “cantinari”. Piccole strutture che nascono magari sotto l’insegna di “Centro di formazione”, senza diritti per i dipendenti. Per metterle insieme bastano centralino e computer in leasing. Molte stanno nei retrobottega di grandi fornitori di servizi e vivono solamente il tempo di un contratto.L’epicentro del fenomeno del telemarketing aggressivo, quello ha trasformato ogni squillo di telefono in molte case italiane in un potenziale incubo, è qui: in questi luoghi semi- clandestini si lavora quasi sempre con numeri ottenuti illegalmente e ignorando i diritti di chi ha chiesto il blocco alle tele promozioni.Un mondo opaco che fa comodo a tutti. Ci sono le grandi aziende distratte, alcune anche a partecipazione pubblica, che subiscono furti di dati e allo stesso tempo chiudono tutti e due gli occhi sui call center esterni ai quali si appoggiano. C’è una giungla di appalti e subappalti al ribasso in mano quegli stessi agenti esterni che gestiscono le strutture dove si chiedono solo risultati, non importa i metodi adottati. Il Garante ha sanzionato con multe da decine di milioni di euro tanti operatori – da Tim a Enel, da Vodafone a Iliad, da Eni a Wind – ma i cartellini rossi non sono bastati ad arginare il fenomeno. Anzi. E i nostri cellulari, complici i ritardi della politica, non hanno nemmeno lo scudo del registro delle opposizioni che in teoria dovrebbe proteggerlo dalle promozioni aggressive.Il 40% dei fascicoli per le tlc«Gli abusi nel telemarketing hanno una lunga storia. Già nel 2018 ci sono stati due interventi normativi del Parlamento», racconta Riccardo Acciai, direttore del dipartimento reti telematiche e marketing del Garante della Privacy, diretto da Pasquale Stanzione. «E selvaggio è ormai l’aggettivo più corretto da usare».Quanto è esteso il fenomeno? L’ente che per otto anni è stato guidato da Antonello Soro, ha quattromila fascicoli aperti dei quali il 41 per cento sono relativi alle chiamate indiscriminate. Di queste, la metà sono legate ad aziende di telecomunicazione e l’otto per cento ai fornitori di luce e gas. I tecnici del Garante valutano siano solo la punta dell’iceberg sotto cui si nascondono in realtà milioni di casi. L’autorità, infatti, si muove solo sulle segnalazioni che arrivano da cittadini.Nel 2019 sul tavolo degli ispettori sono arrivate 3.762 reclami, più di dieci al giorno. E purtroppo «non si sono registrati segnali tangibili di flessione malgrado gli interventi e i conseguenti provvedimenti di varia natura (inibitori, prescrittivi e sanzionatori) già adottati», sottolinea Acciai. Dall’analisi delle segnalazioni pervenute risulta che le telefonate indesiderate continuano ad interessare sia gli abbonati iscritti nel Registro pubblico delle opposizioni, sia i titolari di numerazioni mobili non pubblicate su elenchi telefonici e quindi riservate.Un far west in mano agli agenti«Guardi, le stiamo facendo un favore: noi l’energia elettrica la vendiamo all’ingrosso. Non è nemmeno un’offerta, ma molto di più». L’operatrice dall’altra parte del telefono sfoggia il piglio sicuro di chi la sa lunga. È una costante: chi chiama per proporre un nuovo contratto per la fornitura di luce, gas o una sottoscrizione con un operatore telefonico, in genere fa sempre così. Hanno il numero di cellulare, l’indirizzo, a volte perfino il codice fiscale. Ognuno ha il suo stile, la sua versione della realtà e il suo contratto da proporre. C’è chi chiama sostenendo di lavorare per i Produttori Locali Territoriali (Plt), chi per Vodafone, chi per Enel, chi per Green Network, chi per conto di fantomatiche compagnie di trading online, chi addirittura per l’Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente. «Le leggo il contratto e in un momento abbiamo fatto», aggiunge una delle tante voci, nessuna delle quali lavora in realtà per le aziende che promuovono. Non c’è verso di farsi mandare la proposta per iscritto e quando si domanda da dove vengono tutte quelle informazioni che posseggono sul nostro conto, la linea fatalmente cade.L’anello debole della filiera del telemarketing è quello degli agenti. Stando alle ispezioni ordinate dagli ispettori del Garante della Privacy è a loro che viene affidato il lavoro “sporco” di procacciare contratti. E loro lo fanno sfruttando lo schermo di una lunga catena di appalti e subappalti. Operano e gestiscono call center a volte del tutto fuori dalla legalità. In una delle indagini, quella relativa a Wind, i tecnici del Garante hanno trovato una struttura abusiva dove si lavorava su tabulati di dati probabilmente trafugati da Tim. Ed era completamente in nero, operava sotto l’ombrello del centro di formazione. Capita anche che un call center che operi per conto di una certa compagnia poi inizi a lavorare per un’altra usando le informazioni della prima.Gli agenti esterni rischiano grosso, almeno in teoria. Quello che operava per Wind ad esempio, lo stesso che aveva messo in piedi il call center in nero, è stato sanzionato con 300 mila euro. Un’eccezione: le società nascono e muoiono con la singola commessa ed è difficile rintracciarle. «Ci sono realtà dove i contratti, scritti su carta da fornaio, si rinnovano ogni 20 giorni» dice Sacconi. E dove il rinnovo arriva solo se fai risultati, obbligandoti a fare forte pressione sui consumatori per non perdere il lavoro.Già nel 2019 era stato evidenziato che il problema non era più il solo trattamento dei dati, ma le attività che sconfinavano nel penale con situazioni dove il confine tra vittima e colpevole è molto opaco. Da Tim, che ha ricevuto la multa più salata di tutte, sono stati trafugati i dati degli abbonati mentre allo stesso tempo metteva in pratica attività scorrette nel campo del telemarketing: cattivo utilizzo del consenso, assenza di controllo sul trattamento dei dati. Vodafone si rivolgeva a quattro diverse società che a loro volta avevano legami con altre aziende e call center. Una di queste quattro, la Problem Solving, ha contattato 2.972.365 persone riuscendo a far stipulare 12584 contratti.Vita da sottoscalistiCome funzionano i call center clandestini?Michela Piccione lo sa bene, perché per due mesi ci ha lavorato: «Era il 2017 – racconta – avevo lavorato per un po’ come promoter per Bauli e Motta. Poi un giorno vedo un annuncio su Subito.it con un’offerta da 12mila euro l’anno e sono andata a fare il colloquio». L’incontro («Venti minuti in una stanzetta di due metri per due») va bene. Il posto – tre stanzette e un bagno con una ventina di postazioni a Taranto – è quello che è. Ma uno stipendio è uno stipendio. E quando il giorno dopo, a stretto giro di posta, Michela viene invitata a presentarsi immediatamente a lavorare, ci va.«L’accordo prevedeva un contratto a chiamata a 6,51 euro all’ora per sei ore al giorno», spiega e prevedeva di vendere contratti di una compagnia telefonica. Appena messo piede in sede, però, si è resa conto di essere finita in un mezzo incubo. «Eravamo senza riscaldamento a novembre e dicembre, dovevamo versare un euro per avere la carta igienica nel bagno. Se uscivi per una piccola boccata d’aria, ti toglievano i soldi dallo stipendio». E quando a una collega è arrivata la busta paga, «dentro c’erano 92 euro invece dei 6-700 previsti, 33 centesimi all’ora». È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Michela ha fatto denuncia e la struttura è stata chiusa.«A un colloquio successivo sono finita in un corridoio pieno di postazioni dove si gestivano le chiamate per una grande azienda di luce e gas», continua lei. Posti dove si lavora su numeri e liste di nominativi di dubbia provenienza «spesso recuperati su Facebook o con i finti concorsi in cui ti fanno credere di aver vinto un iPhone». E se qualcuno si insospettisce, gli operatori hanno già la risposta pronta. «Quando un cliente ci chiedeva dove avessimo trovato il numero, noi dovevamo rispondere che era scritto su un sito di vendita di mozzarelle!». Oggi Piccione ha trovato lavoro in un call center regolare. Dove si è pagati a ora con provvigioni in caso di contratti. Se stai al telefono dieci ore al giorno e sei bravo puoi arrivare a mille euro di stipendio e mille di bonus».Uno scudo che non funzionaIl fenomeno del telemarketing aggressivo, in teoria, non dovrebbe esistere. In Italia c’è il Registro delle opposizioni. Uno scudo cui basta iscrivere il proprio numero di telefono (per ora, causa i ritardi della politica, solo quello fisso) per interrompere le chiamate sgradite. Unico problema: questa arma di difesa dei consumatori funziona solo a scartamento ridotto e, almeno fino ad oggi, è stata aggirata con relativa facilità.Vale al momento per il telefono fisso, e lo hanno fatto 1,55 milioni di italiani su 13 milioni di linee. Il governo nel 2018 aveva approvato l’estensione ai cellulari, in Italia sono 80 milioni, ma questo processo si è arenato. Il problema è che il muro delle opposizioni non funziona nemmeno per il fisso. Tutte le società che intendono avviare una promozione telefonica devono verificare al registro quali dei numeri che intendono chiamare sono iscritti in questa lista. La “sentenza” del registro non è però scritta nella pietra e ad aprire spesso il buco che rende inutile l’iscrizione sono i consumatori stessi. Come? Concedendo l’autorizzazione a essere chiamati per operazioni di telemarketing senza accorgersene. Basta un clic affrettato su un sito che vogliamo aprire senza leggere le condizioni, basta una firma su un contratto di acquisto o su una garanzia in cui in caratteri “bonsai” è prevista questa possibilità.Il mercato dei datiI nostri dati telefonici, in effetti, sono una merce con un valore. Ogni utenza ha un prezzo. Più è dettagliata la profilazione del suo titolare, più vale. Ma dove si trovano i dati e come è possibile comprarli? Il primo pensiero è stato quello del dark web, ma in realtà nella parte della Rete che non è indicizzata dai motori di ricerca si trova poco e quel che c’è riguarda soprattutto utenti statunitensi. Per l’Italia la vendita avviene altrove, non sempre per via telematica e quando si usa il Web si sfruttano direttamente i principali social network per stabilire un contatto con i possibili acquirenti.L’identikit del potenziale cliente, un classico della civiltà digitale, è quasi più importante per riuscire a fare un contratto della chiamata reale. «Il telemarketing è solo un aspetto, la raccolta dei dati a volte diventa l’obiettivo principale», racconta Andrea Pompili, a capo dell’unità cybersecurity della Cy4Gate, azienda romana del gruppo Elettronica specializzata in sicurezza informatica. «Ci sono venditori che magari sono a capo di call center ma che comunque hanno come principale fonte di reddito quella che proviene dalla compravendita delle informazioni. Nel caso dell’inchiesta su Tim furono persone all’interno del gruppo a trafugarli, altre volte vengono rubati con attacchi informatici o acquistati da altri call canter».I dati vengono puliti, arricchiti e completati per aumentarne il valore. E questo perfezionamento viene condotto anche a forza di telefonate: «Lei è contento del suo contratto con Enel?»; «Come si sta trovando con Wind»? I canali di rivendita sono Facebook e WhatsApp, almeno per gli agenti meno professionali. Le aziende che offrono set di dati di alto livello hanno invece una facciata più presentabile e non sfruttano certo i social network. Una volta stabilito il contatto, il venditore fornisce all’acquirente un primo blocco di mille utenti in modo che si possa verificare la qualità e l’accuratezza dei dati raccolti. C’è anche il mercato dell’usato, o meglio ci sono contatti di prima o di seconda mano. Alcuni call center comprano pacchetti di due soldi, un singolo nominativo costa pochi centesimi, che però poi viene arricchito di dettagli.«Il numero telefonico da solo vale poco, vale molto di più se associato ad una utenza con la sua data di scadenza e magari con le informazioni legate alle offerte sottoscritte in precedenza «, racconta Andrea Pompili. «Quelli sono i dataset più pregiati, messi in piedi con decine di telefonate o con il furto di informazioni ad altre aziende che capita passi del tutto inosservato».Il tariffario reale varia a seconda del rapporto tra domanda e offerta e i prezzi testimoniano bene quanti numeri telefonici ci sono all’asta: fino a qualche anno fa – dicono gli esperti – un singolo recapito senza troppi “optionals” valeva 20 centesimi, oggi siamo scesi a 9 centesimi. Cifre che crescono ogni volta che si riesce a profilare meglio un utente fotografando età, sesso, interessi e necessità particolari. Con un tetto di 50 centesimi a numero per quelli degli alto-spendenti. In ogni caso nulla, o quasi. Per questo per guadagnare davvero bisogna chiamare milioni di persone e bisogna farlo in fretta tutti i giorni e a tutte le ore.