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 2021  gennaio 11 Lunedì calendario

La scuola di geopolitica di Limes


«L’Italia è un Paese decisivo su scala mondiale, ma non lo sa e preferisce non saperlo», dice Lucio Caracciolo, fondatore e direttore dell’autorevole rivista Limes, che il 9 aprile inaugurerà una scuola di geopolitica per contribuire a colmare il divario tra i fatti e le nostre percezioni, ossia tra l’importanza oggettiva dell’Italia e le difficoltà a rendersi conto del suo rilievo.«Il nostro Paese è importante per almeno due ragioni. Primo, da noi dipende il futuro dell’euro. Secondo, l’Italia è alla frontiera fra Ordolandia e Caoslandia, ultima appendice del mondo relativamente ordinato e benestante tra Africa e Medio Oriente. E oggi, al di là del Canale di Sicilia, troviamo due imperi affacciati al centro del Mediterraneo, Russia e Turchia, che stanno riscoprendo antiche ambizioni. Ci attendono sfide enormi, ma non ce ne rendiamo conto». A chi si rivolge la scuola di Limes? «A giovani neolaureati ma anche a decisori pubblici e privati, a tutti coloro che sono interessati a capire come funzionano e come si gestiscono i rapporti di potere nel mondo. Sempre a partire dai nostri interessi nazionali. Usando gli strumenti della geopolitica, a cominciare dalla cartografia. L’obiettivo è contribuire a formare la classe dirigente. Chi ha responsabilità decisionali nelle istituzioni, nelle imprese, nella cultura deve avere le idee chiare sul nostro posto nel mondo. Soprattutto, deve sapere quel che vuole. Altrimenti saranno altri a stabilirlo. Non necessariamente amici. Come saranno organizzati i corsi? «Non pretendiamo di insegnare teorie perciò il nostro non sarà un approccio accademico. Cercheremo piuttosto di analizzare i fattori strutturali, di decrittare i codici culturali e negoziali, di considerare l’importanza della storia e della geografia nella distribuzione del potere. Metteremo a confronto punti di vista e interessi diversi. Insieme ai nostri analisti, testimoni e decisori, avremo americani, russi, cinesi, tedeschi, francesi e altri ancora. Fuori da ogni ideologia. Soprattutto non saremo una scuola di politica». In Italia si parla abbastanza di geopolitica? «Se ne parla fin troppo. Spesso a sproposito. Se un tempo questo termine era quasi proibito, oggi è iperinflazionato. Se tutto è geopolitica, niente è geopolitica». Quali saranno le conseguenze del tragico epilogo della presidenza Trump? «Gli Stati Uniti sono in preda alla più grave crisi degli ultimi decenni. Certo restano un colosso dotato di risorse tali da potersi rimettere in piedi. Ma sarà dura: Donald Trump esprime un’America profonda che sopravvive alla sconfitta elettorale». Non le sembra che a livello internazionale i danni di Trump siano stati piuttosto contenuti? «Come Barack Obama ieri e Joe Biden domani, Donald Trump crede che l’America sia troppo esposta e che non debba imbarcarsi in nuove guerre che potrebbero dissanguarla. Ma la sua idea di politica internazionale è basata sul suo ego e sulle leggi del commercio, che non si possono applicare alla geopolitica. Vero il contrario: la geopolitica condiziona l’economia». Quali sono le minacce dell’anno che è appena iniziato? «La progressiva disintegrazione europea e dell’Occidente, l’inasprimento della sfida Usa-Cina, l’instabilità nel Mediterraneo, dove gli americani sembrano in fase di inerzia. Il tutto condizionato dall’imprevedibile curva del Covid-19, che diffonde paura e divide le nostre comunità». Dal 1993, anno della fondazione di Limes, quali sono stati gli eventi che hanno più stravolto e influenzato il mondo? «Uno su tutti: la sfida fra Usa e Cina. Ne sappiamo qualcosa noi, che ci siamo finiti dentro in beata incoscienza. Abbiamo pensato di poter avere insieme soldi dalla Cina e protezione dall’America. Non abbiamo visto soldi e siamo meno protetti. Mai come nel caso delle vie della seta sono emersi i limiti del nostro economicismo. Così diventiamo facilmente preda di potenze che minacciano la nostra sicurezza o che ci vogliono usare per i loro fini. In prospettiva, per noi europei il pericolo maggiore è quello che il presidente francese Emmanuel Macron chiama separatismo. Le nostre società sono minate dall’interno da chi ne contesta regole e valori e si costruisce spazi autonomi gestiti da gruppi armati. Di questo sconvolgimento abbiamo percepito l’eco nell’assalto al Congresso americano».