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 2021  gennaio 10 Domenica calendario

Intervista a Alba Rohrwacher

Alba Rohrwacher, come ha passato questi mesi di pandemia?

«Sono stati mesi strani per tutti, è successa una rivoluzione profonda nelle nostre esistenze. Ho letto, lavorato a progetti futuri, fatto pulizia di tante cose superflue. In autunno ho preso parte all’opera prima di Maggie Gyllenhaal e a gennaio spero di iniziare un film; ho un piano di lavoro che alternerà progetti italiani a progetti stranieri».
Come vive un’attrice senza recitare?
«È un momento che può essere di approfondimento o di studio. Il tempo vuoto si può trasformare in tempo pieno. Costretti all’isolamento, approfondiamo e ci cimentiamo in fantasie sul lavoro futuro».
Crede che ci saranno dei cambiamenti?
«Che le sale cinematografiche fossero a rischio lo sapevamo anche prima. La pandemia svela una crisi profonda dell’arte dal vivo. È vero che durante questo periodo abbiamo capito quanto lo streaming e le piattaforme siano importanti. Hanno riempito le nostre vite. Ma ora sentiamo la mancanza di una visione collettiva e condivisa. Spero che continui la possibilità di una visione casalinga, ma che insieme rinasca il desiderio di tornare nei cinema».
Lei pensa che le serie tv abbiano sostituito i film?
«No, sono due possibilità, ma il cinema è insostituibile».
Da ragazza voleva fare il medico e ha studiato due anni medicina. Perché ha abbandonato questo progetto?
«Fin da bambina ero affascinata dagli artisti di strada. Volevo fare la trapezista. Fuggivo a vedere gli artisti in estate nelle campagne limitrofe all’abitazione di famiglia in Umbria».
Perché ha studiato medicina?
«Per senso del dovere dei primogeniti, perché credo che fare il medico sia un mestiere necessario. Trovo inoltre una buffa similitudine tra il medico, che studia il corpo, e l’attore, che studia le possibilità del suo corpo. Io volevo studiare la genetica».
Allora perché ha lasciato?
«Perché contemporaneamente seguivo studi di teatro e ho capito che quella era la mia strada. Il teatro era il luogo dove, per la prima volta in vita mia, mi sentivo a mio agio. Ho superato il senso di inadeguatezza che aveva accompagnato la mia vita fino a quel momento. Improvvisamente ero in pace con me stessa».
È così ancora oggi?
«Quando recito trovo equilibrio. Non sempre, ma nei numerosi incontri con i registi capisco spesso che quello è il mio posto. Penso a Natalia Ginzburg, al suo libro Le piccole virtù. Lo scritto conclusivo è un’esortazione in cui la scrittrice augura che i figli possano avere e trovare una vocazione. Io leggendo quelle pagine, se con vocazione si intende un luogo in cui si pacificano le tensioni e c’è spazio per la libertà, ho qual era il mio luogo, ed è una fortuna che l’abbia trovato».
Lei ha avutoil talento e la fortuna di incontrare giovani registi come Saverio Costanzo, come Silvio Soldini, come sua sorella Alice, come Ginevra Elkann, come Carlo Mazzacurati o Marco Bellocchio.
«Sì, devo tantissimo agli incontri che ho fatto e continuo a fare. Persone sensibili che mi hanno permesso di intraprendere una carriera inimmaginabile, raccontando personaggi inimmaginabili. Io per prima ne sono sorpresa e grata».
Come mai sua sorella Alice ha fatto la regista?
«Attraverso percorsi diversi siamo atterrate sullo stesso pianeta. Ci siamo sostenute e incoraggiate. Mai con un disegno preciso. Per noi è stato un motore creativo e una possibilità di evadere, poi è diventato il nostro mestiere».
Ha avuto modelli di attrici?
«Guardo alle grandi attrici del passato, a Gena Rowlands e al lavoro che ha fatto con John Cassavetes; alla versatilità di Monica Vitti. Ma potrei fare molti altri nomi».
I partner sono importanti?
«Molto. È un lavoro fatto di incontri umani e di fiducia. Ci sono rapporti più solidi e persone che uno incontra più volte».
Lei ha girato due film con Riccardo Scamarcio.
«Riccardo l’ho conosciuto al Centro Sperimentale. È un amico, un attore incredibile che crea sempre un senso di tensione intorno alla scena».
Pensandovi mi vengono in mente Sofia Loren e Marcello Mastroianni. C’è similitudine?
«Magari!».
Quali sono i suoi film di culto?
«Uno dei miei film del cuore è E.T. di Spielberg. L’altro, legato al mio ricordo di bambina, un incontro di cinema casuale, forse prematuro, sconvolgente e indimenticabile è Novecento di Bertolucci. E poi un film della vita è 8 e 1/2 di Fellini».
Perché 8 ½?
«È un film infinito, una fonte di ispirazione costante. Mastroianni è incredibile».
Il cinema italiano come le sembra oggi?
«Credo molto nelle voci che ci sono. Riconosco al cinema italiano coraggio e imprevedibilità».
E come vive la sua quotidianità fuori dal set?
«È una quotidianità semplice. Mi piace stare con le persone che amo e condividere con loro la mia vita».
Lei è diventata una diva?
«Io proprio non lo so, ma mi sembra tutto capovolto. Se prima il divismo era legato a un senso di mistero, oggi la condivisione rende tutto vicino. Non so capire più se esiste una possibilità di divismo».