Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  gennaio 10 Domenica calendario

Biogrfia di Lino Patruno

Quando il maglione a collo alto non era solo una necessità climatica; quando la mano sulla fronte – il palmo al contrario – non era solo una tecnica basilare per provare la febbre; quando la cravatta regimental era un segno di appartenenza e l’Esistenzialismo creava dibattiti altissimi, c’era un ragazzo perennemente sorridente, un concentrato – immutato – di edonismo intellettuale che sfruttava tutti questi elementi per un unico fine: le donne. “Ho preso in mano la chitarra per conoscerle in vacanza”.
Da lì, da un cono di stimoli alto o basso che sia, Lino Patruno ha costruito una grande carriera jazzistica, ha suonato in Italia e all’estero, ha contribuito a fondare uno dei gruppi musicali più dirompenti e provocatori del periodo, I Gufi, ha scritto per la televisione, per il cinema (“Con Pupi Avati ho realizzato la sceneggiatura di Bix”) e ha edificato un angolo imperituro di vitalità quotidiana, priva di lacci.
Lei e il jazz.
Nei primi Anni 50 andava un po’ di moda, soprattutto quello francese, come colonna sonora dell’Esistenzialismo: i ragazzi italiani che non apprezzavano le sonorità nostrane, e desideravano tirarsela, ascoltavano i maggiori interpreti del tempo; (sorride) poi cambiava l’abbigliamento.
In nero.
Eravamo molto eleganti e cerco di mantenermi così ancora oggi; indossavamo i colletti alti, le cravatte regimental… era un modo per rimorchiare.
Altro che Esistenzialismo.
Avevo 15 o 16 anni, per l’estate mio padre aveva previsto un soggiorno a Senigallia; prima di partire un amico mi offre le strategie adatte: ‘Devi prendere una chitarra, imparare qualche pezzo, piazzarti in spiaggia e le ragazze arriveranno’. ‘Non ho la chitarra’. ‘Ti presto una delle mie e ti insegno un paio di accordi’.
Risultato?
Ho eseguito alla virgola, ma non si è avvicinata nessuna, ho solo scoperto l’amore per lo strumento: ho passato l’estate chiuso in casa per studiarlo, senza conoscere la musica.
‘Ci vuole orecchio’, cantava Jannacci.
Dopo due mesi ero già un membro di un complesso jazz.
Con gli anni ha imparato la musica?
Insomma, per modo di dire, giusto per scrivere quattro note dei miei brani. Ma il jazz è improvvisazione: preferisco lanciarmi piuttosto che stare lì a rimuginare.
I suoi genitori di cosa si occupavano?
Mio padre era un dirigente Montedison, mamma stava a casa, però suonava il pianoforte, e qualcosa anche lì ho imparato. Sempre senza la musica.
Figlio della borghesia.
Stavamo bene, altrimenti non avrei potuto acquistare le cravatte regimental; (ci pensa) per seguire mio padre abbiamo cambiato più volte città, da Nord a Sud, ultima tappa Milano fino al 1990; poi mi ha chiamato Pupi Avati: ‘Vieni a Roma, dobbiamo scrivere la sceneggiatura di Bix’.
Come mai lei?
Negli anni avevo suonato con tutti i componenti della band di Bix (musicista leggendario morto nel 1931).
È un grande cultore di musica…
Ho circa 50 mila dischi.
Film?
Intorno ai 10 mila; non ho una casa, ma un museo, per questo ho appena dato vita alla ‘Lino Patruno Foundation’, per lasciare tutto ai posteri; all’interno vorrei inserire alcuni amici, come Franco Nero, Maurizio Micheli e Giovanni Brusatori.
C’è una leggenda: quando alla Rai manca un film, chiamano Lino Patruno.
Non è vero: è da anni che non ricevo una telefonata dalla Rai, ma va bene così, visti i programmi che trasmettono.
Non vede nulla.
Per carità.
Neanche il suo amico Arbore?
(Ride) Capitava quando ero piccolo; pure Renzo un po’ si ripete, da trent’anni non sta creando nulla di nuovo. E io come lui.
Per lei solo film.
Vedo quelli di De Sica, come Umberto D. e Ladri di biciclette; o Rossellini (silenzio, pausa). Lui l’ho conosciuto a casa di Vittorio Gassman, presenti anche Bernard Blier e Juliette Mayniel; a un certo punto Vittorio si rivolge a Roberto: ‘Quando giravi Roma città aperta, cosa avevi nella mente per creare un capolavoro?’. E Rossellini: ‘A Vitto’, pensavo a trovare la pellicola per poter girare’.
Smontata l’epica…
Con Vittorio, negli Anni 60, eravamo alla Bussola di Viareggio e il patron del locale, Bernardini, gli chiede di salire sul palco: ‘Dai, ci sono pure I Gufi, Mina…’. Così prima della serata ufficiale prende il microfono, davanti a duemila persone. Ovvio che venne accolto da grandi applausi. Lui sorride, alla Gassman, e con tono imperiale prende la parola: ‘Tutto sommato… tutto sommato siete dei simpatici stronzi’.
Amichevole.
Dal fondo della sala un tizio risponde al grido di battaglia: ‘Stronzo sarai tu’. A quel punto si è scatenato l’inferno, lo volevano picchiare, tanto da doverlo chiudere nelle cantine della cucina; il giorno dopo gli domando: ‘Cosa ti è venuto in mente?’. ‘Volevo verificare fino a che punto potevo osare’.
Con I Gufi è mai stato censurato?
Sì, una stupidaggine: eravamo a Chianciano per uno spettacolo, e cantiamo: ‘Sant’Antonio allu diserte se lavava l’insalata, Satanasse pe’ dispiette glie tirette na sassata. Sant’Antonio lo prese pel collo e lo mise col culo a mollo’. La moglie del commissario si mise a urlare, ci fermarono. Denunciati per vilipendio alla religione.

E…
Assolti dopo un anno. Eppure anche a Pisa salì sul palco il questore per impedirci di riproporre quella canzone.
Negli Anni 60 avete scoperto fama e soldi…
Avevamo il più grande impresario, Remigio Paone: lavoravamo tutti i giorni (e sorride).
È allegro e gaudente.
Sempre stato e sono rimasto tale: niente matrimonio, ho amato tutte le belle donne che ho incontrato.
Quante storie d’amore?
Non rispondo, ma il numero è alto.
Più di Simenon?
Siamo lì.
I suoi genitori si aspettavano l’exploit artistico?
Ma no! Dopo il diploma da geometra mi hanno assunto alla Montedison di Montecatini. Non mi piaceva. Un giorno litigo con il capoufficio. Me ne vado, papà incazzatissimo (ride). Passa il tempo e il capo della sede mi convoca: ‘Da noi non se n’è mai andato nessuno: le dispiace se ufficialmente la licenziamo?’. ‘Cosa comporta?’. ‘Se va via lei ha diritto alla metà della liquidazione; se la colpa è nostra l’otterrà per intero’. Così ho gridato: ‘Licenziatemi!’.

Suo padre?
Non mi ha rivolto la parola per mesi, nel frattempo per guadagnare qualcosa suonavo il basso in un complesso da ballo.
Chi apprezza tra i musicisti italiani?
Alcuni amici come Bruno Lauzi, Fabrizio De André, Luigi Tenco, Gino Paoli e Sergio Endrigo. Sergio era un poeta.
E Gaber?
Da ragazzo prese il mio posto in un’orchestra, e gli insegnai i pezzi da suonare; già allora percepivi la sua grande forza, un fuoriclasse.
Torniamo a Tenco.
Con lui, nei primi Anni 60, per una sera siamo stati scritturati. Prima dello spettacolo si presenta il proprietario del locale, un tipo losco, minaccioso, con accento del Sud: ‘Questa sera prenderete il 40 per cento del cachet’. E Tenco, il più incazzoso di noi: ‘Ora vado al microfono e spiego al pubblico che lei non rispetta i patti’.
Finale?
‘Se non canta, le mitraglio subito le gambe’. Abbiamo obbedito.
Qual è la sua idea sulla morte di Tenco?
Lavoravo alla Ricordi, Luigi veniva spesso nel mio ufficio. Il nostro argomento principale, se non unico, erano le donne.
Una fissa.
Durante quel maledetto Sanremo, aveva problemi: stava con una tizia legata al clan dei Marsigliesi, un giro pericoloso. Per me non si è ucciso. E non sono l’unico a pensarlo.

In un filmato d’epoca, lei duetta con Lucio Dalla.

A 16 anni suonava il clarinetto in maniera eccezionale, tanto da dissuaderlo dal cantare. Per fortuna non mi ha dato retta.
Enzo Jannacci.
Era il mio dottore…
Un bravo medico?
(Sospira) Bah, diciamo di sì. Il problema è che si dimenticava tutto, forse perché geniale; con lui siamo stati tra i primi a esibirci al Derby, molto prima dell’arrivo di Cochi e Renato, Teocoli e altri; Massimo Boldi suonava la batteria con noi e non aveva alcuna intenzione di lanciarsi nel mondo dello spettacolo.
E poi?
Scoprì la sua verve comica nei post spettacolo a casa mia: finita la serata venivano da me per mangiare e vedere un film; in quelle occasioni Boldi iniziò a imitare il proprietario del Derby.
Di quel gruppetto di giovani, chi era il più bravo?
Teocoli era straordinario con le donne.
Sul Derby si favoleggia di amicizie con la criminalità milanese.
Solo ladri di polli, al massimo c’era chi puntava le radio delle auto.
Ha dichiarato: ‘Romano Mussolini mi ha salvato dai fascisti’.
Grande amico e musicista, pure lui non conosceva una nota musicale: era un 4 novembre, noi in scena al Teatro delle Arti di Roma con uno spettacolo in cui pizzicavamo i fascisti; il direttore del teatro era Peppino De Filippo, persona deliziosa, ogni sera veniva nei camerini per rincuorarci se c’era poco pubblico o ringraziarci per la sala piena.
Mussolini…
Al centralino iniziano ad arrivare telefonate strane: personaggi improbabili che chiedono della nostra presenza. Intuisco il pericolo, chiamo prima Romano e poi mio cugino, personaggio di spicco dell’antiterrorismo, uno che nel curriculum aveva un attentato delle Br e l’uccisione della scorta.
Risultato?
Romano manda un gruppetto di adulti, mio cugino degli agenti. I poverini che volevano bloccare lo spettacolo se ne andarono avviliti, ma tenaci: ‘Abbiamo fallito, ma torneremo’; (cambia tono) sto scrivendo un libro sui miei incontri.
Ne anticipi uno…
Arturo Benedetti Michelangeli (celeberrimo pianista). Una sera, a Milano, ero in giro con le mie fidanzate. Verso l’una di notte passo in un locale di Brera gestito da amici, dove spesso suonavo per divertimento; entro, prendo il basso, intono un paio di brani e alla fine si avvicina un signore: ‘Mi può seguire? Il maestro vorrebbe salutarla’. Era buio, non vedevo nulla. Mi avvicino e scopro Arturo Benedetti Michelangeli.
Le è preso un colpo.
Mi chiede di continuare, io felice accetto; a fine serata il segretario di Michelangeli mi consegna un assegno da duecento mila lire. ‘Ho suonato per lei, per la gioia. Se lo accetto svanisce tutto’.
Un suo grande amore non corrisposto?
Mi hanno corrisposto tutte.
Ha mangiato più da solo o in compagnia.
Cucino. E benissimo.
Il segreto per arrivare a 85 anni così allegro.
Basta non sposarsi
, e nessuna rottura di palle di figli che crescono e da mantenere.
È credente?
Ateissimo.
Scaramantico?
Qualche volta, più per imitazione.
Un vizio.
Le donne, ma oramai sono un po’ fuorigioco.
Chi è lei?
Un pazzo scatenato che ragiona ad hoc.