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 2021  gennaio 10 Domenica calendario

Droga, le 500 comunità oltre San Patrignano

Racconta Massimo Barra, fondatore della comunità romana di Villa Maraini: «Pochi giorni fa gli operatori della nostra unità di strada, hanno trovato, in un sottopassaggio nell’area di Tor Vergata, mille, dico mille siringhe usate e sporche. È stato un ragazzo che usa eroina a far sapere agli operatori cosa c’era in quell’anfratto della disperazione. Siamo andati lì con il camper, abbiamo ripulito tutto, come facciamo, sempre, ovunque, da decenni. Ma quel numero, mille, ci deve obbligare a pensare. Villa Maraini è stata fondata nel 1976, oggi vediamo tornare i ragazzini che si bucano. Sia dei drogati – dice Barra – sia di chi li cura, alla società importa poco. Ciò che conta è che siano nell’ombra. Colpisce che ci volesse una serie su San Patrignano per tornare a parlare delle comunità. Ma noi e tanti altri eravamo sempre qui, in prima linea».
Chi cura oggi i tossicodipendenti in Italia? E come sono cambiate le comunità di recupero? È ancora valido in qualche modo quel sistema paternalistico e coercitivo fondato sul lavoro che costituiva l’anima del “trattamento” con cui Vincenzo Muccioli rieducava i ragazzi di San Patrignano? E poi, ancora, di fronte a un universo in cui l’eroina è soltanto una delle droghe utilizzate dai “consumatori”, in che modo si sono evolute le comunità e i servizi territoriali per le tossicodipendenze?
Ricorda Riccardo De Facci, presidente del Cnca, la più grossa federazione di comunità (260) presenti in Italia: «Negli anni Ottanta, oltre a San Patrignano c’erano almeno 150 altre realtà che utilizzavano metodologie completamente diverse. Noi, don Picchi che fondò il Ceis, don Mazzi, don Ciotti, don Gallo, la comunità di Capodarco, anche Saman nella prima fase, Villa Maraini a Roma. Oggi siamo oltre 500. E nel 2019, nel nostro Paese, c’è stato un morto di overdose al giorno. Ma della droga si discute esattamente come 40 anni fa: allarmismo o rimozione». Intanto è dal 2009 che il governo non convoca la conferenza nazionale sulle tossicodipendenze.
Le comunità di recupero
Oggi in Italia le comunità sono divise in due grandi gruppi. Residenziali, di cui 449 private (privato sociale) e 19 pubbliche. Semiresidenziali, di cui 74 private e 19 pubbliche. Le rette degli utenti sono a carico del servizio sanitario nazionale. Spiega De Facci: «Molte delle comunità di oggi affondano le radici negli anni dell’ondata dell’eroina e dell’arrivo dell’Aids. Nascevano attorno a una figura carismatica, i primi furono i preti, ma anche laici come Muccioli appunto o Barra a Roma con Villa Maraini. Era una tragedia immane, 250 mila tossici in Italia, duemila morti in un anno. Un mostro contro il quale ogni mezzo sembrava lecito. come dimostrava San Patrignano. La divisione era netta, tra chi considerava i drogati dei malati da curare e chi degli irregolari da isolare e restituire puliti alla società». E la risposta delle comunità “altre” rispetto a Muccioli, fu la grande campagna “Educare non punire”.
I trattamenti
Oggi sono diversificati. Perché sono cambiati sia i consumi sia la società. Eroina, cocaina, droghe sintetiche, psicofarmaci, policonsumo. «Non sempre – chiarisce Barra – la comunità residenziale è la risposta. C’è chi ha bisogno di isolamento e chi no. Chi deve curarsi continuando a vivere la propria vita, con il supporto psicologico degli operatori, chi ha bisogno del metadone, chi del supporto psichiatrico. È la terapia che si piega al tossicomane, non il contrario. Per entrare in comunità ci vuole la motivazione, altrimenti è controproducente».«Il tempo di permanenza – aggiunge Riccardo De Facci – può variare da uno a tre anni, ma è sempre fondamentale poi accompagnare gli ex nel reintegro nella società, con la semi-autonomia. Il personale è fatto di psicologi, medici, psichiatri, ma anche di educatori che arrivano dall’esperienza della comunità. Nessuno trattiene un ragazzo che vuole andare via, violenze come quelle che si verificavano a San Patrignano sarebbero inaccettabili».
I Serd
Sono circa 600 in tutta Italia, risentono di una strutturale mancanza di personale, spesso hanno dovuto restringere i propri interventi alla pura somministrazione di metadone agli ex eroinomani. Massimo Barra: «Contesto chi demonizza il metadone: non è cronicizzazione, è un farmaco che svolge un ruolo sociale nel contenimento di una categoria di tossicomani. Novantamila persone che prendono il metadone e per questo non muoiono, non delinquono e non stanno in mezzo a una strada. Si chiama riduzione del danno». Chi vive, chi muore, chi galleggia
Ricorda De Facci: «Nel 2019 abbiamo avuto un morto al giorno e ci sono troppi segnali negativi. L’età dei consumatori: nel boschetto di Rogoredo siamo rimasti sconvolti dalla quantità di minorenni che arrivavano giorno. Le guarigioni: intorno al 50 per cento». Massimo Barra: «I tossicomani possiamo salvarli dalll’overdose, grazie a un farmaco prezioso, il Naloxone. Ma dobbiamo arrivare in tempo. Nella mia statistica la percentuale di guarigioni, se dobbiamo essere sinceri, è del 33%. Dopo 12 anni di tossicodipendenza, un terzo di utenti ha smesso, un terzo continua a drogarsi, un terzo è morto».