Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  gennaio 10 Domenica calendario

Da Livorno al Gulag. Sola andata

Lino Manservigi, operaio metallurgico socialista, nel settembre 1920 partecipa all’occupazione della Lancia a Torino. Nel 1921 s’iscrive subito al Partito comunista d’Italia, fondato a Livorno il 21 gennaio di cent’anni fa, e partecipa al III Congresso dell’Internazionale comunista (Comintern) che inizia il 22 giugno. A Mosca studia all’Università Zapada (Occidente), dove vanno i membri dei partiti europei, lavora in fabbrica e dal 1923 è iscritto anche al Partito bolscevico russo. Nel 1935 riceve un biasimo ufficiale, per rapporti amichevoli con specialisti italiani che lavorano nella fabbrica di dirigibili Dirižablestroj, progettata da Umberto Nobile. I dirigenti italiani della Sezione quadri del Comintern lo accusano di «debolezza politica». Il 23 novembre 1937, cinque mesi dopo l’inizio del Grande Terrore, Manservigi è arrestato e condotto nella prigione della Taganka, con l’accusa di fare parte di un’organizzazione terroristica trotskista-bordighista. Il 14 marzo 1938 è condannato a morte dal Collegio militare della Corte Suprema dell’Urss e fucilato lo stesso giorno.
Lino non è l’unico comunista italiano a finire ucciso o rinchiuso nel Gulag negli anni del terrore staliniano. Tra le centinaia di vittime, una cinquantina appartengono ai fondatori del partito, iscritti nel 1921. Di questi 23 sono fucilati, 12 muoiono nel Gulag, 12 tornano liberi e alcuni rientrano in Italia. Tra di essi c’è anche la sorella di Lino, Elodia Manservigi, operaia in un calzaturificio, poi commessa e dattilografa, iscritta al Psi dal 1913 e al Pcd’I dal 1921. Arrestata dalla polizia di Torino, nel 1923 raggiunge il marito Angelo Valente scappato in Urss, portandosi dietro il figlio Sergio, di tre anni. Dopo l’assassinio del fratello, si fa scappare, con i compagni italiani, parole di accusa all’Nkvd (la polizia politica). È su questa base che Elodia viene arrestata il 31 ottobre 1940, condannata a cinque anni e mandata nel lager di Karagandinskij. Nel 1946 finisce la pena, ma è costretta a restare a Karaganda per i limiti di residenza che le vengono imposti, lavorando come sarta e inserviente nei bagni pubblici. Nel frattempo anche il figlio Sergio, dopo l’arresto della madre, è stato licenziato, inviato nella colonia penale dell’Nkvd di Celjabinsk, alle pendici degli Urali, dove è morto il 6 maggio 1943. Elodia Manservigi viene riabilitata nel luglio del 1955 e l’anno successivo rientra in Italia. 
Tutti i condannati – le cui brevi biografie si possono trovare nel sito di Memorial Italia, che ha raccolto circa 1.200 schede di italiani «repressi» in Urss – risultano poi riabilitati tra il 1955 e il 1957, negli anni del disgelo kruscioviano e del XX Congresso (1956), in cui furono denunciati i crimini di Stalin. Per la maggior parte di loro le accuse formulate dal partito italiano sono le stesse: debolezza e superficialità politica. Senza la legittimazione della dirigenza del Pcd’I, e di Togliatti in particolare, tali accuse non sarebbero diventate partecipazione a organizzazioni controrivoluzionarie, definite trotskiste-bordighiste (Amadeo Bordiga era stato il primo leader del partito, poi espulso) proprio per poter coinvolgere anche i primi iscritti.
A volte basta la vicinanza o la familiarità con qualcuno già arrestato per fare la stessa fine. Capita a Clementina Perone Parodi, socialista, già arrestata nel 1919 e iscritta al partito dal 1921, che nel 1923 raggiunge il marito in Urss, lavora come dattilografa e poi all’università Zapada. Viene segnalata perché ha legami con altri sospetti e arrestata nel 1938 per spionaggio; liberata, arrestata nel 1940 per attività controrivoluzionaria e condannata a 8 anni; liberata nel 1947, ma arrestata ancora l’anno dopo e inviata al confino perpetuo. Vi resta fino al 1953; torna nel 1958 a Torino, dove muore nel 1964.
Vincenzo Baccalà, socialista, con il Congresso di Livorno s’iscrive al Pcd’I e più tardi diventa amministratore dell’«Unità»; nel 1925 è arrestato ed espatria l’anno dopo, nel 1927 viene condannato in Italia a 12 anni e nel 1931 arriva a Odessa e poi a Mosca. Insegna italiano al conservatorio, ma è il suo partito ad accusarlo di bordighismo. Viene arrestato il 26 febbraio 1937, condannato a morte il 16 novembre dall’Nkvd e fucilato 12 giorni dopo a Odessa. Ai familiari verrà detto che è morto per paralisi cardiaca. A Odessa arriva nel 1924 anche Livio Amadei, iscritto nel 1921 ed espatriato nel 1922, poco prima di venire condannato a 28 anni per omicidio. Dirige il Club degli emigrati e la propaganda fra i marinai della flotta mercantile italiana. Anche lui è accusato dai dirigenti del Pcd’I e arrestato nel 1936 per partecipazione a organizzazione trotskista. Liberato, è di nuovo arrestato il 27 aprile 1938, con la stessa accusa, e fucilato a Odessa il 1° ottobre 1938. 
Sono molti i comunisti italiani del 1921 a lavorare in Urss come operai: lo fa Gaetano Marcolin, membro della federazione giovanile dal 1921, più volte arrestato a Torino e inviato dal partito a studiare in Urss, vittima di un’accusa di spionaggio con cui il 22 maggio 1938 una commissione dell’Nkvd lo condanna a morte. È fucilato il 10 luglio anche lui a Butovo. La moglie sarà arrestata tre anni dopo e inviata nel lager, mentre le due figlie piccole finiranno in orfanotrofio. È operaio anche Emilio Gennari, che nel 1921 passa al Pcd’I dalla gioventù socialista, arrestato nel maggio 1938 per spionaggio: condannato a otto anni di Gulag, muore nel 1944 per le terribili condizioni della reclusione nel lager di Ust’vmyskij. Arduino Lazzaretti, condannato a 30 anni per l’uccisione di un fascista, è a Mosca nel 1923 e lavora come operaio nel cantiere della metropolitana. Il partito lo segnala come bordighista ed è condannato a 5 anni nell’agosto 1937. Muore il gennaio successivo nel lager di Severo-Vostocnyj. È operaio anche Luigi Calligaris, redattore del quotidiano comunista «Il Lavoratore», condannato per antifascismo e liberato nel 1932, che fugge in Urss e lavora in fabbrica a Char’kov e poi a Mosca. Qui è condannato per trotskismo nel 1934 e poi nel 1936, infine a morte nel 1937 mentre sta scontando la pena nel lager di Severo-Vostocnyj, per avere partecipato a scioperi della fame e per sabotaggio controrivoluzionario. Fa l’operaio a Mosca e Rostov Ernani Civalleri, redattore dell’«Ordine Nuovo» torinese e delegato del Pcd’I al III congresso dell’Internazionale nel 1921. Nel febbraio 1938 è arrestato per attività controrivoluzionaria e spionaggio e fucilato il mese successivo a Butovo.

Uno dei più famosi è Dante Corneli, segretario della sezione socialista di Tivoli che passa nel 1921 al Pcd’I. Dopo avere ucciso il segretario del Fascio locale, fugge in Urss nel 1922. Lavora in fabbrica, dal 1926 a Rostov, deputato al soviet locale, ma è espulso dal partito russo perché appartiene all’Opposizione. Riammesso, segue la scuola leninista e a Mosca lavora in una fabbrica di cuscinetti a sfera. I suoi compagni di partito non dimenticano il passato e lo segnalano come trotskista. Arrestato nel giugno 1936, dopo dieci anni viene rilasciato dal lager di Vorkuta, inviato al confino, di nuovo arrestato nel 1949. Liberato e riabilitato nel 1956, fino al 1960 rimane in Siberia, dieci anni dopo torna in Italia, grazie all’interessamento di Umberto Terracini. Cerca di fare conoscere la sua storia, ma deve stamparsi da solo i libri di memorie. Solo il più famoso, Il redivivo tiburtino, viene pubblicato da La Pietra nel 1977 pieno di tagli e censure. Nel 2019 le sue opere sono state riproposte integrali dall’editore Massari.
I comunisti italiani del 1921 (qui parliamo solo dei «fondatori» del partito, non di chi si iscrive dal 1922 in avanti) avranno spesso un tragico destino: per mano del fascismo, che imprigionerà e ucciderà molti di loro, ma anche in Urss. Tra le vittime di Stalin ci sono anche Vincenzo Angeli, Augusto Bartolozzi, Rodolfo Bernetich, Olinto Bertozzi, Robusto Biancani, Antonio Buticchi, Ireneo Cassetta, Nello Cecchi, Virgilio Cella, Renato Cerquetti, Pietro Colotto, Eugenio Del Magro, Gino De Marchi, Francesco Depangher, Luigi Fattori, Adolfo Foderini, Carlo Garaccioni, Lorenzo Gatti, Oreste Gazzotti, Aldo Gorelli, Memo Gottardi, Cafiero Lucchesi, Giulio Luchetta, Egisto Marchionni, Gino Martelli, Giovanni Morelli, Alice Negro, Guglielmo Pagani, Mario Papucci, Germano Romanutti, Bruno Rossi, Adolfo Sandonnini, Nazzareno Scarioli, Arnaldo Silva, Giuseppe Venini. Tutti nomi da ricordare, anche se non hanno fatto parte della memoria comunista.