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 2021  gennaio 10 Domenica calendario

12QQAFM10 Su "Chiaroscuro" di Raven Leilani (Feltrinelli)

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Lei desidera (stancamente) lui, lui desidera (enigmaticamente) lei, la moglie di lui invita lei a vivere (temporaneamente) da loro. È una sintesi irrispettosa ma efficace di Chiaroscuro, romanzo che negli Stati Uniti sta raccogliendo consensi sufficienti, per numero e tenore, a cambiare la vita della sua autrice, la trentenne Raven Leilani. Con il titolo originale, Luster, l’esordio di Leilani compare infatti nella lista dei libri preferiti da Barack Obama nel 2020, e in tutti gli elenchi analoghi compilati dai maggiori media americani – tra cui «New York Times», «Los Angeles Times» e «Washington Post», che lo certificano come bestseller. Fra i giudizi positivi spicca quello di Zadie Smith, che di Raven, come la chiama affettuosamente per tutto l’articolo che le ha dedicato su «Harper’s Bazaar», è stata mentore e docente alla New York University. Smith scrive che, sebbene faccia pensare a Sally Rooney, Muriel Spark, Toni Cade Bambara o Kathleen Collins, nessuna delle categorie letterarie riconducibili a queste voci può davvero riassumere o rivendicare la prosa di Leilani, «che, con la più leggera delle stoccate, trafigge la nostra contemporaneità, e rivela una scrittrice di libertà e coraggio esaltanti».
In Italia Chiaroscuro esce per Feltrinelli. La traduzione è di Stella Sacchini e Ilaria Piperno, che restituiscono senza compromessi (il lettore, perlomeno, non ne intuisce) la vividezza lessicale di cui il romanzo si fregia e, per ragioni di trama, si serve. Varietà ed esattezza sono infatti ciò che la protagonista Edie – newyorkese, 23 anni – ricerca affannosamente, nelle misture di colore per i suoi quadri come nei concetti, ma anche nelle descrizioni che fa di sé stessa in forma pittorica o verbale, mentre azzarda un autoritratto, si presenta all’ennesimo colloquio, aggiorna il curriculum, ripensa al passato. Ed è con l’uso di una parola precisa, «artista», che duella per tutta la durata del libro, come fa un’eroina con la sua antagonista. Edie si sente una pittrice, ma non sa se sia lecito presentarsi come tale, visto che non trae profitto dalla vendita dei quadri. Meglio facilitarsi la vita e dare la precedenza ad altre definizioni, quelle sintesi di sé che un po’ la ispirano e un po’ la deprimono: single, orfana, precaria, ex avventista del Settimo giorno, inquilina di un appartamento infestato dagli scarafaggi. E oggetto del desiderio di Eric, un borghese imperscrutabile, noioso e sposatissimo che ha il doppio dei suoi anni – ah, ed è bianco: a un certo punto del romanzo, che Edie sia nera ed Eric, come sua moglie, non sarà una questione meno superficiale di quanto tutti e tre vogliano ammettere.
Leilani apre il sipario di Chiaroscuro sul loro flirt, che inizia in chat e, come prevede la prassi di un’ambientazione newyorkese, passa attraverso un ristorante del Village, dove Eric si fa serio: «Vorrei mettere le carte in tavola». Lo fa letteralmente, allungando a Edie un foglietto sgualcito su cui Rebecca, sua moglie, ha appuntato alcune regole di cui rendere edotte le amanti: vietato fare sesso non protetto, vietato vedersi nei giorni feriali, vietato entrare in casa loro...
Ma, come insegna John Irving, direttive del genere non hanno molte chance di essere osservate, nella letteratura americana. 
Difficile, a proposito di Chiaroscuro, non fidarsi del giudizio di Zadie Smith – una a cui, a ottobre del 2001, neanche trentenne, era bastato un articolo sul «Guardian» dal titolo This is how it feels to me per decodificare il proprio tempo, nonché il disagio dell’essere scrittrice all’indomani dell’11 settembre: «Al momento, facciamo il lavoro meno necessario del mondo», scriveva. Il suo Denti bianchi, uscito all’epoca da circa un anno e salutato come un citofono d’oro che avrebbe aperto il portone del futuro, rischiava di perire sotto i macigni dell’attualità. Ma la tragedia non lo declassò, come non declassò Le correzioni di Jonathan Franzen, che, peggio ancora, era in libreria da dieci giorni. A Leilani sta succedendo qualcosa di analogo. Tra le sue pagine, per ovvie ragioni editoriali, non c’è traccia del 2020: Eric, nel primo capitolo, infila una mano in bocca a Edie senza aver fatto ricorso ad alcun igienizzante; non compaiono mai le parole «Trump», «Biden» o «Harris»; l’unico momento di tensione con la polizia apre a un’analisi tristemente senza tempo, che glissa sul Black Lives Matter: «Io so che l’istante che intercorre tra quando un ragazzo nero si trova in posizione eretta ed è in grado di parlare e quando è riverso a terra, immerso nel suo stesso sangue, è quasi impercettibile».
Ciononostante, è palese che Chiaroscuro racconti l’America di oggi. Anzi, è un proiettore di diapositive a tema «Questo è il presente, amici: non ve n’eravate accorti?». Un prodotto talmente attraente e contemporaneo che sembra pensato a tavolino da un pool di star di Twitter, e solo in seguito, a storia stabilita, affidato a una scrittrice di talento: dentro ci sono le fanfiction, la vita da rider, i matrimoni aperti, la depravazione del mercato immobiliare nelle metropoli, l’ironia come scudo protettivo e la sgradevole, ampiamente condivisa sensazione di ritrovarsi con la pistola scarica nel mezzo di uno stallo alla messicana, con l’economia a sinistra e la propria ambizione a destra.
Edie, d’altronde, parla per una generazione: pensa di valere quanto il proprio (esiguo) conto in banca, e che lo sforzo compiuto nel rispettare tutte le file sia stato drammaticamente vano, visto che i suoi numeri non vengono mai chiamati. Ma quelli a cui è andata meglio non sono immuni dalla mestizia: in Chiaroscuro, gli over 40 sembrano anime del Purgatorio, individui sempre a disagio e significativamente impiegati nello studio di cose morte (Eric è archivista, sua moglie un medico legale). Mentre Edie, di morto, tollera a malapena i momenti, quei silenzi che seguono un «no», una delusione, la milionesima gaffe. Non a caso, i toni imposti dalle sue emozioni passano dal dramma alla commedia con tanta rapidità che finiscono per sovrapporsi, e a Leilani non resta che arrendersi alla credibilità sfolgorante del suo personaggio e assestare il registro su una specie di, appunto, chiaroscuro letterario che contrasta ogni magone con la lumeggiatura: il contemporaneo si distingue dall’istantaneo, il divertente dallo scanzonato.
Quindi, sì, Chiaroscuro è una rivelazione, ma non tanto per la misura della sua onestà, quanto per la voce dell’autrice, che riesce a farsi valere sia nella disciplina dello Sguardo Lucido sul Mondo che in quella, più complessa, della Scrittura Come Forma d’Arte, garantendo lo stesso tipo di modellatura geniale che, tra i prodotti culturali recenti, ha fatto la fortuna di Fleabag, la miniserie di Phoebe Waller-Bridge. Raccontare un personaggio senza edulcorare la ferocia dei suoi desideri, e suggerire che ogni storia d’amore, oggi, sia soprattutto una storia di povertà, imbarazzo, sopportazione, estrema fantasia ed estrema umiliazione. Raven Leilani ci riesce al primo colpo, guadagnandosi l’ammissione alla compagine degli «inutili», gente come Smith e Franzen. Lei ha commentato il suo nuovo status di scrittrice a tempo pieno dicendo: «Mi sembra incredibile. È magico». Lo stesso, curiosamente, si può pensare dopo avere letto Chiaroscuro.