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 2021  gennaio 09 Sabato calendario

Beffe e genio del falsario di Venezia



Nel periodo di fake news in cui viviamo, il concetto di verità " oggettiva" si è a tal punto indebolito da apparire spesso una chimera. Paradossalmente comunichiamo troppo e la moltiplicazione esponenziale dei punti di vista non aiuta. Parlando e scrivendo d’arte, le fake news fioccano come coriandoli a carnevale, venendo spesso riprese pure da mass media di norma affidabili. I casi sono talmente tanti che ci si perderebbe solo a rammentare i principali. Eppure non è un fenomeno recente, anzi. Soprattutto nei secoli XVII e XIX era frequentissimo, quasi sistemico, e vi furono artisti che su di esso fondarono le proprie fortune. La vicenda di Pietro della Vecchia — un pittore/ restauratore/ periziatore/falsario vissuto nella Venezia della metà del ’ 600 — lo dimostra bene.
Era nato a Vicenza all’aprirsi del secolo e le sue prime prove dimostrano un’attrazione viscerale per il mondo di Caravaggio, inseguito sulle tracce di uno dei suoi primi e principali seguaci: il veneziano Carlo Saraceni. Anche colui che sarebbe diventato suo suocero — il flandro- fiammingo Nicolas Régnier — si era precipitato a Roma per rigenerarsi nelle verità del Merisi, che però scordò rapidamente quando qualche anno dopo si recò nella Serenissima. Qui adattò nome ( Niccolò Renieri) e linguaggio, trasformandosi da naturalista in classicista. Pietro della Vecchia sposò una delle sue figlie, Clorinda (pure pittrice), e iniziò a collaborare con il suocero, che sempre più si dedicava al commercio dei quadri. All’epoca, infatti, gli originali dei capiscuola più ambiti si erano a tal punto rarefatti da toccare prezzi inarrivabili, con due conseguenze scontate: che molti artefici tendevano a riecheggiarne modi e composizioni, e che si produssero falsificazioni sempre più subdole.
Prima su istigazione del Renieri, poi per scelta personale, Pietro si specializzò nell’imitazione di moltissimi maestri del ’ 500 e del ’ 600: soprattutto Giorgione e Tiziano, ma anche Palma il Vecchio, Romanino, Savoldo, Lotto, Paris Bordon, Jacopo Bassano, Tintoretto, fino ai contemporanei Fetti, Strozzi e Ribera. Si sforzava di non eseguire mere copie, ma di coglierne l’essenza stilistica. Il mercato veneziano fu inondato dalle sue fake news e non si capiva più nulla. Divenuto noto quale " esperto in materia", cominciò ad essere richiesto dai collezionisti come consulente. È celebre l’episodio che lo vide scoppiare a ridere di fronte a un presunto Autoritratto di Giorgione che nel 1675 a Firenze era stato proposto al cardinale Leopoldo de’ Medici, appassionato di effigi d’artisti. Gli si chiese un’opinione e lui rispose che lo aveva eseguito 32 anni prima, su richiesta del Renieri, senza copiare alcun modello, " ben sì per imitare quel singolare autore". Dal suo punto di vista si limitava a rievocare le maniere altrui, ma ci giocava, e molti giocarono con lui. Il paradosso è che in parallelo aveva un’attività ufficiale prestigiosa: si occupava degli arredi pittorici di Palazzo Ducale e sfornava caterve di pale per chiese e congregazioni caratterizzate da un espressionismo raccapricciante e grottesco. Di alte frequentazioni, fondò una sua Accademia privata, frequentata pure da patrizi, e in essa si produsse la quantità enorme di tavole e tele " alla Vecchia" che ancora oggi invadono aste, musei e collezioni private. Alcune sono di livello infimo, altre di qualità splendida. Un conoscitore della caratura di cui Federico Zeri inequivocabilmente scrisse: « I suoi virtuosismi di stesura pittorica sono superati dai temi misteriosi, stravaganti, splenetici dei suoi dipinti, spesso bellissimi, che ne fanno uno dei pittori più ermetici del Seicento » . In effetti molte sue invenzioni svelano dimestichezze filosofiche, cabalistiche e stregonesche, rappresentando sortilegi, incantesimi e non di rado pratiche sessuali estreme. In più tele palesa un rassegnato scetticismo nei confronti del concetto di Verità, che rappresenta come una fanciulla inerme e irrisa da orribili ceffi. Ma non era solo una Verità storica o metafisica.
È lecito credere che la sua fantastica competizione con il Tempo artistico — messa letterariamente in scena dal suo amico Marco Boschini, in un lungo brano della straordinaria Carta del Navegar pitoresco ( 1660) — presupponesse una prospettiva di tipo quasi negromantico, che ne indirizzava pure l’attività falsificatoria. D’altra parte, in una Venezia che accolse i successi di un impostore quale fu l’alchimista Federico Gualdi — che dichiarava di avere 400 anni e di essere stato ritratto da Tiziano, prima della sua morte ( 1576) — tutto ciò sorprende fino a un certo punto. Esattamente come Boschini scriveva nel 1660, ancora oggi " In Galarie de Principi e Signori La virtù de sto Vechia è immascherada; Savendo lu calcar l’istessa strada De molti ecelentissimi Pittori". Non è certo un caso che vari suoi lavori si conservino, ad esempio, nelle raccolte medicee. Alla metà del ’ 600, consulenti di Leopoldo per le acquisizioni sul mercato veneto erano stati, nell’ordine, i suoi sodali Paolo del Sera e, per l’appunto, Marco Boschini. Quest’ultimo — anzi — chiese espressamente il permesso di convocarlo per casi sospetti che venivano proposti al cardinale, come il preteso Autoritratto di Giorgione. Alcuni di questi dipinti fiorentini sono stati individuati da tempo; altri invece più di recente. Penso al Ritratto di donna già ritenuta di Bonifacio Veronese a Pitti, a un presunto Autoritratto di Tintoretto presentato come del Robusti anche a una non lontana mostra a Venezia o a un altro cosiddettoAutoritratto di Tiziano esposto nell’estate del 2019 a una piccola mostra tenutasi a Pieve di Cadore. Ma forse ce n’è un altro, famosissimo: Il cavaliere di Malta di Tiziano. Nel 2011 ho manifestato la mia personale convinzione ( non certezza, ma convinzione) che si tratti di uno dei migliori travestimenti di Pietro. Vero, non vero? Per quanto condivisa da alcuni miei colleghi, la maggior parte di appassionati e specialisti avrà pensato, e continuerà a pensare: fake news, fake news …