la Repubblica, 9 gennaio 2021
La prima allenatrice nera nella storia del baseball
L’America di Kamala, Bianca, Kim, Becky, Jeanie. Se questa storia contiene un messaggio è che quando vuoi fare qualcosa bene, devi chiedere a una donna. Contrattano, dirigono, allenano, arbitrano. A meno di due settimane dall’insediamento della prima vicepresidente donna degli Stati Uniti, Kamala Harris, lo sport americano corre veloce verso la parità dei sessi. I Red Sox di Boston, storica franchigia americana di baseball, hanno assunto una donna come coach, prima allenatrice afroamericana nella storia del baseball professionistico. Bianca Smith, 29 anni, laureata in biomeccanica, ex assistente coach a livello di college, lavorerà in Florida sugli atleti della minor league che aspirano a entrare in prima squadra: osserverà i loro movimenti in battuta, e valuterà quali sono le qualità dinamiche e come migliorare. «È una grande occasione – ha scritto su Twitter – perché può ispirare altre donne a seguire questo sport».
Non è tutta elegia femminile. Questo è il Paese dove ancora le calciatrici e giocatrici di hockey chiedono pari diritti, dove nel ’67 Kathrine Switzer dovette spacciarsi per uomo per correre la maratona di Boston, prima di essere buttata fuori, ma è anche la terra delle battaglie di Billie Jean King e Venus Williams per la parità nel tennis. Il baseball, lo sport dell’uomo medio americano, ci ha messo un secolo per capirlo: se al 90% è un gioco mentale, puoi fare a meno delle donne? A luglio Alyssa Nakken è diventata la prima coach di Major league, chiamata a guidare i giocatori della prima base dei San Francisco Giants, e contribuendo alla vittoria per 6-2 contro gli Oakland Athletics. A novembre i Marlins di Miami hanno nominato general manager una donna, Kim Ng (pronuncia Eng), 51 anni. Il 2020 è stato un anno orribile ma ha lanciato segnali in questo senso. A settembre è toccato alla Nfl di football, forse la lega più machista. A febbraio Katie Sowers, dei San Francisco, è stata la prima vice-coach donna in uno staff di una squadra al Super Bowl. Washington-Cleveland, invece, è stata la prima partita della storia in cui c’erano due donne negli staff tecnici, e una ad arbitrare. A dicembre Sarah Fuller è entrata in campo in una partita di football per segnare il punto di trasformazione, lei, unica ragazza tra uomini, dopo la meta, per Vanderbilt. Pochi giorni dopo, Becky Hammon per tre minuti e 56 secondi ha guidato una squadra di Nba, i San Antonio Spurs, dopo l’espulsione di Gregg Popovich. Gli avversari erano i Los Angeles Lakers di proprietà di Jeanie Buss, 59 anni, diventata a ottobre prima donna della storia Nba a vincere un titolo. Buss è chiamata la Lady of the Lakers: figlia maggiore di Jerry Buss, scomparso nel 2013, quando Jeanie prese in mano la franchigia tutti ricordarono il suo passato su Playboy, ma poi è diventata la donna che ha trattato con la Time Warner un accordo sui diritti tv da 3 miliardi di dollari e quadruplicato il valore del brand dei Lakers. «Non è solo una delle migliori proprietà della Nba – ha detto Magic Johnson – ma di tutti gli sport». L’Nba è un modello anche qui: se in Champions League ha fatto storia il debutto dell’arbitro Stephanie Frappart, in Juventus- Dinamo Kiev, nel basket americano tre donne sono state promosse nelle terne arbitrali. Altre fanno parte degli staff dirigenziali e tecnici ai massimi livelli: è una donna, Catherine Shefford, una delle manager internazionali della comunicazione. Ma anche altri sport stanno seguendo il nuovo trend: a dicembre Danita Johnson è diventata la prima presidentessa afroamericana del campionato di calcio, chiamata alla guida delle operazioni economiche dei Dc United di Washington. «Non avremo una presidente degli Usa – ha commentato Billie Jean King – fino a quando non capiremo che le donne possono guidare tutti, non solo le donne». Ma ci stiamo arrivando. Tra 4 anni, con l’aiuto dello sport, quel traguardo potrebbe essere meno impossibile.