la Repubblica, 9 gennaio 2021
Il mondo a caccia di chip
Le linee di produzione – dopo gli stop di diverse settimane del primo lockdown – sono ripartite, spesso quasi a pieno regime. La domanda – soprattutto in Cina – ha rialzato la testa e in diversi settori viaggia a livelli superiori a quelli pre-pandemia. L’industria mondiale però – specie quella dell’auto – deve fare ora i conti con il più inatteso dei problemi: una drammatica carenza di chip.
La prima a lanciare l’allarme è stata qualche settimana fa la Volkswagen annunciando che «i problemi di fornitura dei componenti elettronici» rendevano necessario un temporaneo ridimensionamento dell’attività negli stabilimenti cinesi. Non era un problema limitato alla casa di Wolfsburg: Continental e Bosch, altri due colossi tedeschi, hanno denunciato problemi simili. Honda è stata costretta a rallentare la produzione di alcuni impianti in Giappone, Nissan ha ridimensionato quella della “Note”, la Ford ha chiuso uno stabilimento nel Kentucky e pure la Mercedes ha ammesso qualche difficoltà.
Le cause dell’improvvisa carenza di chip sono legate a filo doppio all’impatto del Covid su questo settore. La scorsa primavera – con l’industria dell’auto ferma in quasi tutto il mondo e alla luce dei devastanti effetti della pandemia sulla crescita – tutti i big hi-tech hanno deciso di tirare i remi in barca in vista del possibile crollo della domanda. Si sbagliavano di grosso. Il boom dell’home- working e della didattica a distanza hanno portato a un’impennata di vendite per quei prodotti – dai pc ai videogiochi fino alle piattaforme per teleconferenze – che fanno grande uso di microprocessori.
Intel, Stm, Micro Technologies & C. hanno deciso in un primo momento di traghettare su questi nuovi clienti i prodotti che non venivano acquistati dal mondo delle quattroruote. Ma presto si sono resi conti che la domanda cresceva più dell’offerta. La situazione è peggiorata ancora dopo l’estate: il mercato dell’auto è ripartito prima del previsto – le vendite a novembre in Cina sono cresciute dell’11% sul 2019 – il decollo delle reti 5G ha aperto un nuovo immenso canale di mercato. E la geopolitica ha complicato ancor di più la situazione: Huawei, a rischio di embargo Usa, ha iniziato a far incetta di microprocessori per non rimanere tagliata fuori dal mercato e con i magazzini vuoti. I suoi grandi rivali come Xiaomi, convinti di poterle rubargli spazio, hanno fatto lo stesso. Risultato: i semiconduttori oggi sono merce rara sul mercato e i loro prezzi sono schizzati all’insù. Anche perché i piani di espansione lanciati in fretta e furia dai loro costruttori andranno a regime solo a fine 2021.
Le Borse si sono accorte da tempo di come era girato il vento e i titoli dei big dei chip hanno messo le ali. Micron Technologies ha guadagnato il 90% da settembre. Asml il 52%. Samsung (+62%) ha annunciato ieri un rialzo del 24% dei profitti nell’ultimo trimestre del 2020 spiegando che a far crescere la redditività sono state proprio le vendite dei microprocessori legati al fenomeno del lavoro da casa.
La congiuntura favorevole ha regalato un fine 2020 da incorniciare anche al colosso italo francese Stm: il quarto trimestre dell’anno si è chiuso con un aumento dei profitti superiore al 21%, ben al di sopra delle più ottimistiche previsioni. Piazza Affari ha festeggiato, regalando alle azioni Stm un balzo del 2% che porta a + 55% il rialzo negli ultimi quattro mesi.