Corriere della Sera, 9 gennaio 2021
2020, l’anno più caldo della storia
Caldo, sempre più caldo. Anche se magari qualcuno con il freddo di questi giorni stenta a crederlo, confondendo il meteo con il clima, gli ultimi dati del Copernicus Climate Change Service, centro di monitoraggio dell’Unione europea, mostrano che il 2020 è stato per l’Europa l’anno più caldo mai registrato da quando la scienza prende la temperatura alla Terra. A livello globale alla pari del 2016 (finora l’annus horribilis del clima, iniziato con un forte riscaldamento di El Niño), e il sesto di una serie consecutiva eccezionalmente calda. Tutto ciò a fronte del continuo aumento di CO2 in atmosfera, nonostante la pandemia abbia costretto in casa buona parte dell’umanità, con una riduzione stimata del 7% delle emissioni di CO2 fossile.
In Europa, la temperatura media dell’aria a due metri di altezza nel 2020 ha registrato un’impennata di +0,4° rispetto al 2019 e addirittura un +1,6° rispetto al periodo di riferimento 1981-2010 (a livello globale +0,6°). La più grande deviazione annuale della temperatura media rispetto al periodo di riferimento è però concentrata sull’Artico e sulla Siberia meridionale dove in alcune zone ha superato i 6°. Se poi il confronto è con le temperature preindustriali (1850-1900) lo sbalzo a livello globale è addirittura di 1,25°.
D’altro canto, le misurazioni satellitari delle concentrazioni di CO2 mostrano che il massimo globale mediato ha raggiunto 413 ppm (parti per milione): l’anidride carbonica in atmosfera è aumentata un po’ meno del 2019 ma ovviamente il calo non è sufficiente. «Finché le emissioni globali nette non si ridurranno a zero, la CO2 continuerà ad accumularsi e guiderà ulteriori cambiamenti climatici», dice Vincent-Henri Peuch, direttore del Copernicus Atmosphere Monitoring Service.
C’eravamo illusi che i lockdown potessero fermare la febbre della Terra? Sbagliato. «Il sistema non risponde in modo così pronto a una riduzione delle emissioni piccola come quella causata dalla pandemia», spiega al Corriere Silvio Gualdi, ricercatore del Centro Euro-mediterraneo sui Cambiamenti Climatici dove dirige la divisione di Simulazioni e Previsioni Climatiche. «Il dato di Copernicus è in linea con il trend climatico in atto da decenni, che non invertirà la sua corsa finché non verranno implementate delle serie politiche di riduzione delle emissioni».
Insomma, non basta un anno di pausa per Covid-19 a rallentare il riscaldamento globale. E dal momento che nessuno si augura che la pandemia continui, è meglio sfruttare il momento. «La politica dovrebbe cogliere l’occasione delle enormi risorse stanziate a causa della pandemia per ragionare sui temi dello sviluppo sostenibile», continua Gualdi. «In assenza di una qualunque azione, se continuiamo a usare combustibili fossili e ad emettere gas serra ai ritmi degli ultimi decenni, l’impatto climatico avrà effetti devastanti sulle nostre società. I modelli preannunciano che alla fine del secolo il pianeta potrebbe essere mediamente 4° più caldo di quanto fosse alla fine del XX secolo, con conseguenze abnormi».
Non si possono sottovalutare neppure i segnali che arrivano dal Circolo polare artico dove gli incendi di un anno eccezionalmente caldo hanno rilasciato una quantità record di 244 megatonnellate di anidride carbonica nel 2020, oltre un terzo in più rispetto al 2019. E Carlo Buontempo, direttore del Copernicus Climate Change Service, ricorda anche «il numero record di tempeste tropicali nel Nord Atlantico». In controtendenza, parti dell’emisfero australe hanno registrato temperature inferiori alla media, in particolare nel Pacifico equatoriale orientale, associate alle condizioni più fresche di La Niña, fase opposta di El Niño.