Corriere della Sera, 8 gennaio 2021
La serie tv "Ossi di Seppia", 20 minuti di memoria
«Trasformare il passato prossimo o anche remoto in oggi. Scrivere le storie al presente, raccogliendo domande e risposte come se tutto stesse accadendo adesso, alternando il ricordo di ieri con l’inquietudine della contemporaneità». Mauro Parissone è il direttore editoriale della società di ideazione e produzione non fiction 42° Parallelo. È la fabbrica del progetto Ossi di Seppia / Il rumore della memoria che Parissone definisce «la prima serie tv non fiction nell’era del coronavirus». Il format di 42° Parallelo è ideato e prodotto in esclusiva per RaiPlay, diretta da Elena Capparelli: ogni martedì dal 12 gennaio, e per un anno, sulla piattaforma online gratuita del servizio pubblico Rai apparirà un nuovo «racconto della realtà» di circa 20 minuti.
L’idea di fondo, che nasce proprio dal «rumore della memoria», è analizzare e raccontare significativi avvenimenti del recente passato (politica, ambiente, cronaca nera, sanità, religione, sport, conflitti) e riproporli, seguendo il racconto di un testimone-protagonista, in una chiave narrativa e documentaristica di stringente attualità, utilizzando i materiali delle Teche Rai e di archivi privati.
C’è quindi un nesso attualissimo. Molti hanno polemizzato chiedendosi perché Netflix (e non la stessa Rai) abbia fatto centro con la serie documentaristica SanPa. Luci e tenebre di San Patrignano usando gli archivi delle Teche Rai e aprendo, proprio sotto il marchio Netflix, un vasto dibattito. Qui, al contrario, tutto viene realizzato sempre grazie alla miniera audiovisiva di Teche Rai, ma con una serie prodotta per e da RaiPlay, dunque il servizio pubblico. Una differenza non da poco, con la prospettiva di realizzare un contenitore che diventi un punto di riferimento per la nostra recente storia.
Il titolo Ossi di Seppia è un rinvio voluto a Eugenio Montale, al suo immenso retaggio poetico, spiega Parissone: «Gli ossi di seppia sono oggetti che il mare restituisce scarnificati, levigati, e di cui lo sguardo del poeta coglie la forza evocativa. Per questo la nostra serie tv è anche una medicina audiovisiva contro la perdita della memoria collettiva». Una memoria che ci riguarda direttamente non solo perché rappresenta le nostre radici sociali e culturali, ma anche perché ci ripropone temi mai tramontati. Molto eloquente la prima puntata dedicata al Metodo Di Bella, tormentata vicenda di cronaca sociale che nel 1998 oppose un discusso «venditore di speranze», con la sua cosiddetta terapia alternativa per la cura del cancro, alla comunità scientifica e al mondo politico.
Rosy Bindi, ai tempi ministro della Sanità nel primo governo Prodi, torna a quelle ore con una sorprendente capacità di trasformare una vicenda di più di vent’anni fa in un capitolo vivo, immediatamente collegabile al dramma del Covid-19. Quindi anche al pericoloso universo dei negazionisti, alla faticosa battaglia della scienza e della ricerca contro le cure fai-da-te, presentate come miracolose, ma che puntualmente si rivelano inefficaci o persino dannose quando vengono sottoposte a rigorosi controlli.
Si proseguirà con la slavina di Rigopiano nel gennaio 2017, la spensieratezza che diventa tragedia: toccherà a Giampiero Parete, il cuoco dell’hotel, ricostruire le sue chiamate al 118, la sua disperazione quando non viene creduto.
Molti giornalisti sono coinvolti come testimoni di una cronaca ormai diventata storia. Giovanna Chirri dell’Ansa tornerà al momento in cui, il 14 febbraio 2013, firmò uno scoop storico: fu la prima a capire in diretta, nella densità di un complesso discorso in latino, l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI.
Paolo Salom del «Corriere della Sera» riproporrà le ore del disastro nucleare di Fukushima nel marzo 2011. Carlo Bonini de «la Repubblica» rimetterà insieme il tragico puzzle della vicenda di Giulio Regeni, dalla sua scomparsa al Cairo il 25 gennaio 2017 agli ultimi sviluppi. In quanto a Tangentopoli, Sergio Cusani ha accettato di tornare al 17 febbraio 1992. Ma anche in questo caso il linguaggio narrativo si collegherà all’oggi, al sistema politico italiano.
In quanto al Covid, c’è un’altra puntata che ci parla di passato in parallelo con l’oggi: il coraggioso esempio di Carlo Urbani, capo dell’unità investigativa pandemica dell’Organizzazione mondiale della sanità, morto a Hong Kong nel 2003 per la Sars. Il racconto è affidato alla moglie Giuliana Chiorrini: una testimonianza in cui l’evidente e profondo legame familiare non è un ostacolo, ma anzi è l’unico possibile strumento per una ricostruzione lucida, efficace, non emotiva.
Proprio il coronavirus è un riferimento per l’intero progetto, spiega Parissone: «L’epoca del virus è uno spartiacque. Ancora più dell’11 settembre, l’altro grande evento collettivo dei nostri tempi, il coronavirus fa sì che tutto il passato anche recente si distanzi, diventi “lontano”. A noi interessa proprio ripensare la memoria dopo questo spartiacque, agganciarci al nuovo immaginario collettivo, a una rinnovata necessità di ricordare, di ritrovare storie e frammenti che forse prima non avremmo preso in considerazione».
Il progetto non intende seguire un’agenda scandita da date o da ricorrenze. È volutamente una catena di temi che emergono dal passato ma, seguendo l’idea editoriale, riguardano il presente. Ecco le puntate sul delitto di Cogne (seguendo il racconto di Stefano Balassone, studioso dei media), sulla morte di Dj Fabio il 27 febbraio 2017 (testimonierà la fidanzata, Valeria Imbrogno), sullo scandalo del vino al metanolo, sulla morte di Fabrizio Frizzi, sull’assassinio di Vanessa Russo nella metropolitana di Roma nell’aprile 2007, sulla scomparsa di Ayrton Senna nel maggio 1994, sull’approvazione della legge sull’aborto nel maggio 1978 (qui apparirà Emma Bonino), sull’incidente di Seveso nel luglio 1976 e sulla strage ferroviaria di Viareggio nel giugno 2009, sulla morte di Giovanni Paolo II il 2 aprile 2005. Sono solo alcuni esempi. Il linguaggio è trasversale: c’è la tv, il cinema, il fotogiornalismo. Volutamente po’ «sporco» e interrotto. Come è la realtà.