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 2021  gennaio 07 Giovedì calendario

La vera storia dei re Magi (che non erano re ma saggi)

Solo dodici versetti all’inizio del secondo capitolo di Matteo. Tanto dura nel Vangelo l’apparizione dei Magi. Eppure la loro fama nel corso dei secoli è cresciuta esponenzialmente, dando vita a una tradizione fantasiosa e multiforme che li ha fatti diventare re, ne ha fissato il numero (tre, probabilmente in relazione ai continenti allora conosciuti e anche al numero dei doni offerti a Gesù, oro incenso e mirra) e gli ha dato un nome: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Una fortuna comunque meritata, perché il brano evangelico, pur breve, è dotato di un infratesto di grande presa simbolica, che ha giustamente innescato l’immaginario popolare e le tradizioni che affondano le loro radici nei Vangeli apocrifi e in altri testi soprattutto medievali (si veda ad esempio la Legenda Aureadi Giacomo da Varazze, composta tra il 1260 e il 1298).
Ed è appunto a questo ricco simbolismo che, soprattutto in un tempo particolare come il nostro, conviene fare riferimento, dopo aver eliminato le incrostazioni leggendarie e aver recuperato una lettura sine glossa di quei dodici versetti. Prima di ogni altra cosa bisogna riportare i Magi alla loro vera identità. Non re, ma come è attestato anche da fonti storiche parecchio antecedenti al Vangelo (Erodoto, ad esempio), membri della casta sacerdotale della religione mazdea, il cui culto fu riformato nel VI secolo a.C. da Zarathustra. Essi adoravano il dio unico Ahura Mazda, attendevano un Messia o “Soccorritore” che sarebbe nato da una Vergine e che, annunziato da una stella, avrebbe salvato il mondo. Coltivavano inoltre l’astronomia ed erano dediti all’interpretazione dei sogni, come è attestato in relazione all’imperatore Serse. Questo è sostanzialmente l’identikit che ne fa anche l’evangelista Matteo. Saggi giunti da oriente seguendo una stella (probabilmente l’allineamento di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci, che effettivamente avvenne in quel periodo, dando luogo a un effetto ottico di straordinaria brillantezza). Uomini in ricerca, dunque, sacerdoti e intellettuali contemporaneamente, che abbandonando le loro certezze, si erano messi in cammino, nell’intento di coniugare scienza e fede, intelligenza umana
e credenze religiose. In altri termini Fides et ratio, potremmo dire con il titolo di una famosa enciclica di san Giovanni Paolo II.
Quanto sia attuale questa pagina evangelica è facile da comprendere in tempi in cui, dopo secoli di rigida separazione post illuminista, è oggi la stessa scienza a essere messa in discussione da atteggiamenti senza alcun fondamento razionale (le polemiche sui vaccini, anche prima del Covid, stanno lì a testimoniarlo), mentre sul piano religioso si assiste al pericoloso ritorno di forme di fondamentalismo disposte a sacrificare sull’altare dei principi ogni forma di carità. Nella ricerca dei Magi confluiscono invece nel giusto mix razionalità, religiosità e anche contemplazione e rispetto del cosmo (la stella o ciò che era), tanto da diventare paradigma anche per la Chiesa della Laudato si’.
Depurati, dunque, della loro regalità spuria e ricondotti alla filologica natura di dotti in ricerca, gli straordinari personaggi che il 6 gennaio giungono ad adorare Gesù offrono inedite prospettive anche alla cultura contemporanea, sfidandola ad agire, avrebbe detto Benedetto XVI, etsi Deus daretur. Anche per quanto riguarda il rapporto con il potere. I Magi, proprio in virtù del proprio bagaglio culturale, non si lasciano amma-liare dalle blandizie di Erode. Fanno sì tesoro delle indicazioni ricevute per il suo tramite, ma una volta incontrato il Bambino ritornano a casa «per un’altra strada». E anche in questo caso la metafora è chiara e preziosa. Il cristianesimo è un incontro che cambia la vita. Un incontro offerto a ogni uomo e a ogni donna affinché ognuno diventi a sua volta un “magio”, capace cioè di seguire strade nuove. Il che in tempi di Covid non è solo un’opzione. Ma un imperativo morale.