La Stampa, 7 gennaio 2021
Don Abbondio è l’italiano medio
(il primo articolo di Leonardo Sciascia per La Stampa, pubblicato il 7 aprile 1972)
Manzoni conosceva troppo bene la storia di quel secolo , sapeva - e lo dice - che, facendosi prete, don Abbondio era entrato «in una classe riverita e forte», non più vaso di terracotta tra vasi di ferro.
Ma non arriva mai a dire che la condizione di don Abbondio era, oggettivamente, più forte di quella di don Rodrigo. Soggettivamente, continuando don Abbondio a comportarsi da vaso di terracotta, no; ma il secolo e il modo di governare della Spagna, tra giurisdizioni e arbitrati o ukase reali, lo ponevano in una condizione superiore e sicura rispetto ai vasi di ferro, che negli affari, nei puntigli e nei privilegi erano almeno costretti a urtarsi tra loro.
Negli stessi anni, in Sicilia, sotto gli stessi spagnoli, non c’è conflitto tra funzionari regi ed ecclesiastici, tra potere regio e clero secolare (e non parliamo poi della Inquisizione o della Compagnia di Gesù), tra il viceré e l’infimo parroco di campagna, che infine non si risolva col torto - le scuse, il trasferimento o, nel migliore dei casi, la pacificazione umiliante - del rappresentante del potere reale, sia esso il viceré in persona. E non credo le cose andassero diversamente in Lombardia, anche se ia confusione delle giurisdizioni, dei «fori privilegiati», era certamente minore.
Don Abbondio è dunque un uomo che da una posizione di forza sceglie di esser debole, da una posizione di libertà di esser servo; e il suo sistema altro non è che un sistema di servitù volontaria. Si azzarda troppo a dire che nei Promessi sposi, attraverso don Abbondio, Manzoni ha rappresentato l’uomo medio italiano nel suo non-sentire civile?
Il sistema è perfetto. Bisogna vivere quasi che si fosse morti: e tutto va bene fintanto che il sistema esterno coincide con quello interno, che non c’è nessun obbligo di pensare, di scegliere, di decidere - cioè di esser pienamente vivi, liberi. Ma anche nel momento in cui si è costretti a esser vivi, liberi, a scegliere, a decidere; in cui il sistema esterno non combacia esattamente con quello interno: anche allora c’è una valvola di sicurezza, un modo di evasione. L’obbligo di operare, a far sì che tutto torni come prima, e cioè alla quasi morte, viene devoluto al cielo. «Basta: il cielo è in obbligo di aiutarmi, perché non mi ci sono messo io di mio capriccio», dice don Abbondio. E il cielo non è indiflcrcntc a una simile delega: manda i lanzichenecchi e la peste a sistemar tutto.
I puri di cuore avranno, dalla Provvidenza, l’emigrazione e tanti figli - e una lezione sui casi della vita che par formulata sul sistema di don Abbondio, indefettibilmente; e arriva persino, anche se dolce e scherzoso, al dubbio di Lucia che non sia stato uno sproposito quello suo di voler bene a Renzo e di promettersi a lui, cioè di abbandonarsi a quegli istinti e sentimenti che il sistema non ammette. Don Abbondio perviene invece al trionfo: da tutti quei casi il sistema è uscito collaudato, temprato, come acciaio, efficientissimo. Il dubbio che tutta quella «iliade di guai» sia nata appunto dal suo sistema non lo sfiora nemmeno. «È stata un gran flagello, questa peste: ma è anche stata "una scopa"... Ah! se la peste facesse sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne male: quasi quasi ce ne vorrebbe una, ogni generazione...». Un certo tipo d’italiano non vede diversamente: inquieto per il fatto di dover pensare, scegliere, rischiare, ecco che si rimette alla peste. Di fatto: decide per la peste.
Così si ripresentava, con accentuata comicità, il sistema di don Abbondio pochi anni fa, in una commedia di Brancati. «Avvolgete attorno al collo questa striscia di cuoio che, per maggiore comodità vostra, porta anche un giro di verghetta di ferro, e assicurate il guinzaglio per un capo, lasciandolo pendere per l’altro. Quest’altro capo di guinzaglio, che striscia per terra, finirà certo per trovare una mano robusta che lo prenda. E intanto cercate di applicare alla bocca una museruola. Così, guardate... È un gran conforto... Lo sapete meglio di me... Con questo collare al collo, questa museruola sulla bocca, e un guinzaglio che striscia per terra, pregate e sperate. Vi lascio con l’augurio, sincero, che troviate presto un padrone duro come un corno, squillante come una tromba...».
Il guinzaglio è quello del sistema di don Abbondio. Ne vediamo molti, oggi, che strisciano per terra. Troveranno, comunque, la provvida mano?