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 2021  gennaio 06 Mercoledì calendario

L’eterno Orwell spiega la sinistra, Stalin e Salvini

La moltitudine di citatori di George Orwell che disseminano moltitudini di citazioni di George Orwell ha una buona possibilità: leggere, anzi no: rileggere. Si dice così: rileggere. Perché magari è passato del tempo e la memoria lusinga, tradisce e svia, porta a produrre citazioni a vanvera, a tirare in ballo Orwell quando non c’entra niente, a buttare lì cosucce campate in aria, che si direbbero orecchiate e che si prendono per buone solo assecondando la frenesia e la noncuranza dei tempi. Ma per fortuna Garzanti (da domani in libreria) ripubblica molto, 1984, La fattoria degli animali, Omaggio alla Catalogna – venduti singolarmente o in volume unico, in questo secondo caso con prefazione di Pierluigi Battista – più un paio di saggi che non vedo l’ora di avere fra le mani, La neolingua della politica e Memorie di un libraio.
L’iniziativa di Garzanti non va presa sottogamba, dico specialmente ai citatori, non è la semplice occasione di riempire qualche vuoto in libreria o, per i meno feticisti, di sostituire vecchie edizioni consunte con nuove intonse. Specialmente la trilogia (sublime intuizione di mettere insieme Omaggio alla Catalogna, La fattoria degli animali e 1984, e chiamarla Trilogia della libertà) riveste un ruolo didattico, perdonate l’aggettivo, e già nella sua fisicità, nella consequenzialità dei tre titoli perché – lo annota Battista nella sua prefazione fresca e corroborante come un improvviso vento di primavera quando intorno è inverno – non ci sarebbero stati né la Fattoria né 1984 se Orwell non avesse deciso di buttarsi nella Guerra civile spagnola (1936-39), da antifascista, e poi scoprire e riversare nell’Omaggio l’altra faccia della medaglia: la spietatezza stalinista. Ecco, bastano le prime righe della prefazione di Battista per rimediare all’equivoco, un po’ dovuto alla sbadataggine, un po’ alla frode, di chi per esempio ritenga 1984 un romanzo profetico sull’invasività delle tecnologie, per le quali oggi siamo potenzialmente e costantemente sotto vigilanza digitale di un Grande Vecchio, attraverso gli smartphone, i pc, i tablet, gli algoritmi, le app, la tracciabilità eccetera. Fa un po’ impressione ritrovarsi a scriverlo ma no, 1984 è un romanzo politico sul controllo totale, repressivo, bugiardo e violento del socialismo reale sovietico. Ed è per questa ragione che a Orwell – uomo di solida sinistra – toccò sentirsi dare del sabotatore, del collaborazionista, del fascista mascherato. È la solita storia: o con noi o contro di noi. E Orwell, indisposto a chiudere un occhio sul gulag per orrore del lager, subì la meschina pena ma non si pentì e se la tenne.
Forse, dunque, la pietra angolare della produzione politica e letteraria di Orwell sta nella frase indimenticabile di Clarinetto – il maiale trasformato in Ufficio propaganda di Napoleon, il capo della Rivoluzione – che si rivolge agli altri animali intimandogli disciplina, altrimenti ritorna Jones, il padrone, il nemico: «Non vorrete mica che ritorni Jones, vero?». E così, siccome non deve tornare Jones, ogni dubbio va accantonato, ogni protesta sopita, ogni evidenza negata, perché sennò ritornano i tempi peggiori, ritorna Jones. Ora, non so se sentite l’eco. Se questa frase l’avete ascoltata, di recente: non vorrete mica che ritorni Salvini, vero? Quindi ogni critica a sinistra diventa la prova di affiliazione doppiogiochista alla destra, e viceversa. Ma della farsa ci occuperemo poi, prima la tragedia. E la tragedia è un modo cieco e sordo, nel quale la frase scritta da Orwell per Clarinetto diventa la frase di tutti rivolta a Orwell, dipinto da rinnegato che fa tanto il democratico ma lavora per il ritorno di Jones. Leggetevela la prefazione di Battista, e la strepitosa carrellata di vili e di settari impegnati a ricoprire Orwell di discredito, e provoca dolore ritrovarci per esempio uno come Italo Calvino, che imbratta un gigante come Orwell del titolo di «libellista di second’ordine», affetto da «uno dei mali più tristi e triti della nostra epoca: l’anticomunismo».
Semplicemente non era possibile essere sia antifascisti sia anticomunisti (questa la tragedia, la farsa fa il suo oggi), oppure si poteva, ma al prezzo di prendere botte a destra e botte a sinistra, come ne prese Orwell, e non soltanto lui, e anche qui bisogna dirlo: non è mica una faccenda degli anni Quaranta e Cinquanta, Battista ricorda la reazione sciagurata del poeta Pablo Neruda quando Leonid Brežnev condannò all’esilio il premio Nobel Alexander Solženicyn per il suo Arcipelago gulag. Neruda negò la solidarietà perché «non ho alcuna intenzione di diventare uno strumento di propaganda anti sovietica». Era il 1974. Solženicyn fu dichiarato da Brežnev «diffamatore della patria» e «marionetta a servizio del fascismo» e il Pci di Enrico Berlinguer non ebbe molto da obiettare, riconobbe una certa restrizione dei diritti, e però Solženicyn se l’era cercata con un «atteggiamento di sfida allo Stato sovietico e alle sue leggi, di totale contrapposizione» e prescindere dalla ostilità sabotatrice dello scrittore era esercizio da «faziosi e sciocchi» (i virgolettati sono dell’Unità).
La tragedia è immensa anche perché dimenticata. O seppellita. E la farsa – sottolineo farsa – si ripresenta nelle miserie di oggi, in cui se non stai con i sacerdoti togati e impuniti dell’antimafia ufficiale stai con la mafia, se non stai con i poliziotti del linguaggio e del pensiero antirazzista e antisessista sei razzista e sei sessista, se non stai coi santoni dell’onestà sei amico dei corrotti, se non stai coi populisti stai con la casta, se non stai coi sovranisti sei comunista, se non stai a sinistra sei fascista, e cioè se non ti scegli una delle sgarrupate chiese moderne diventi preda di ogni fondamentalismo, per quanto siano ormai fondamentalismi dell’apericena. Non ci farà male leggerci (ops, rileggerci) Orwell, per vedere com’è che si tiene la schiena dritta, soprattutto quando era difficile farlo.