Avvenire, 6 gennaio 2021
Lo scontro per la colonizzazione della Luna
È tempo di raggiungere accordi su come operare sulla Luna. Se si aspetta si rischia che lo sviluppo dell’umanità sul nostro satellite sia occasione di nuove tensioni internazionali. L’ammonimento è stato lanciato da Martin Elvis, Alanna Krolikowski e Tony Milligan (ricercatori rispettivamente in astrofisica, scienze politiche e teologia) su un numero di ’Royal Transaction A’ della Royal Society, dedicato al ruolo che la Luna avrà nei decenni futuri.«Molte missioni pianificate per i prossimi anni – scrivono i tre – punteranno a un piccolo gruppo di siti lunari interessanti, probabilmente generando affollamento e interferenze». Oggi sono molte le agenzie statali entrate nella competizione spaziale: recente è l’allunaggio di Chang’e 5 lanciato dalla Cina nell’ambito del suo programma che punta al polo sud lunare. L’India già nel 2019 ha compiuto un invio, peraltro fallito, in questa regione verso la quale anche la russa Roscosmos, con l’agenzia europea Esa prepara diverse missioni dal 2022 in poi. Lo scopo è di stabilire basi permanenti da cui meglio osservare l’universo e magari da cui far partire più facilmente ulteriori missioni spaziali grazie alla ridotta forza gravitazionale. I siti ambiti per tali scopi sono i picchi dove giunge in modo continuativo la luce solare necessaria per ricavare energia e i crateri dove si trova ghiaccio da cui ricavare acqua: siti che si trovano appunto nei poli.Ma alla Luna si guarda anche come fonte di materie prime, al cui sfruttamento sono interessati anche gruppi privati. Sul nostro satellite di trovano infatti torio, uranio, ferro, elio-3 (quest’ultimo potrebbe diventare un combustibile per i reattori a fusione nucleare). Ma sono in pochi siti: torio e uranio solo in 34 aree, il ferro in una ventina di zone e l’elio-3 si trova in forti concentrazioni solo in otto regioni. Queste, oltre a quelle polari, sono le aree attorno alle quali può scatenarsi la competizione.In realtà vi sono già alcuni accordi. Come il Trattato firmato nel 1967 da Usa, Urss e Regno Unito in cui si stabilisce che «lo spazio extra-atmosferico non è soggetto ad appropriazione» e che le sue risorse sono da considerarsi «patrimonio dell’umanità». Sulla basedi quel primo documento, che impegnava i firmatari anche a non collocare armi nello spazio, nel 1979 un gruppo di tredici Paesi ha ratificato un Accordo sulla Luna concepito sulla scorta di quanto stabilito dalla Convenzione Onu sui fondali marini: ma nessuno di quei Paesi era impegnato nell’esplorazione spaziale e le grandi potenze lo hanno ignorato. Nell’ottobre 2020 è stato raggiunto l’Accordo Artemide tra Usa, Canada, Australia, Giappone, Italia, Regno Unito, Eau, sottoscritto anche da Ucraina e Brasile: ribadisce che lo sfruttamento delle risorse extra terrestri va compiuto secondo il trattato del ’67 ed è inteso tra l’altro a favorire le missioni lunari, stabilire standard comuni, condividere le conoscenze. Ma altri lo considerano una manifestazione della tendenza egemonica statunitense. Il problema è che nel dicembre 2019 gli Usa avevano costituito la Space Force, la prima forza militare destinata ad agire in quel che Donald Trump descrisse come «il più nuovo campo di battaglia del mondo».Ecco che nell’affacciarci nuovamente alla Luna siamo di fronte a un vuoto di regole che nella pratica potrebbe tradursi in nuovi attriti. Tony Milligan propone che si corra ai ripari stabilendo delle infrastrutture comuni, per esempio un singolo terminal per i viaggi da e verso la Terra, o dei trattati che leghino le mani a chiunque voglia usare i siti più ambiti. Sinora lo spazio è stato inteso come possesso di nessuno. C’era un tempo in cui era così anche sulla Terra: le foreste, le pianure, le montagne, non appartenevano ad alcuno e potevano essere sentite come proprie da tutti. Poi Caino si impossessò di un campo e si sa come andò a finire. È tempo di porre le basi perché la storia non si ripeta nello spazio extraterrestre. Altrimenti non avremo altri universi in cui recuperare la pace perduta.