il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2021
8QQAFZ10YDONNE 8QQAFZ10YSESSO Sul romanzo "Un cazzo ebreo" di Katharina Volckmer (La Nave di Teseo)
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Un cazzo ebreo, titolo. Ma non lasciamoci distrarre dal “cazzo”; qui quello che conta è l’“ebreo”, uno per tutti il dottor Seligman che, “in quanto ebreo, andrà senza dubbio in paradiso”. È a lui che si confida la svalvolata e geniale protagonista del romanzo: un flusso di coscienza di cento pagine e poco più, chiacchierato e applaudito caso editoriale all’ultima Fiera di Francoforte e “libro dell’anno 2020” per il Times Literary Supplement.
Ne è autrice una giovane esordiente tedesca, Katharina Volckmer, classe 1987, di stanza a Londra dove lavora per un’agenzia letteraria. The Appointment: Or, the Story of a Jewish Cook (Grasset & Fasquelle) è in corso di traduzione in dodici Paesi e domani esce in libreria in Italia (con un po’ d’anticipo rispetto al Giorno della Memoria) – col titolo accorciato a Un cazzo ebreo – grazie ai tipi della Nave di Teseo e con la traduzione di Chiara Spaziani. Attenzione, se ordinate sul censore Amazon, chiedete pudicamente Un ca**o ebreo.
Siamo alle altezze del Lamento del prepuzio, ma al contrario: quello della Volckmer è il lamento delle Schamlippen, “che in tedesco quelle labbra lì sono chiamate ‘labbra della vergogna’”, i genitali di una giovane donna che mai si è sentita a proprio agio nel suo corpo, e nel suo sesso biologico. Oltretutto, per lei il mondo è retto da una dittatura del fallo, che “tiene sempre viva la distinzione tra chi ha un cazzo e chi no”; invece – lamenta la paziente sul lettino del medico – “dovremmo bandire l’arma (il pene, ndr) e non la ferita (la vagina, ndr)”.
Chi parla al dottor Seligman è senza nome, ma ha voce potente, come di rado si legge nella narrativa contemporanea: è un mostro questa ragazza; “un gatto che abbaia”; una “tragedia nel corpo femminile”. Ma l’eco di questa voce – che blatera di piselli e sex toys, rapporti orali e sodomia – è ancor più dolente e spettrale: nazismo, sterminio, colpe, vittime. D’altronde, l’aveva già intuito Houellebecq il rapporto incestuoso tra amplessi e lunghi coltelli: “Giovinezza, bellezza, forza: i criteri dell’amore fisico sono gli stessi del nazismo”. Ecco dunque questo vertiginoso e surreale intreccio tra ginecologia e Olocausto: dissacrante e ironico, ma mai volgare o irrispettoso. È delle più “Benevole” Katharina e ha lo humour di certa letteratura ebraico-americana, da Bellow in giù.
Costruito geometricamente come un monologo teatrale, come una confessione delittuosa, come un giallo malizioso, il romanzo va letto d’un fiato e non spoilerato, rincorrendo i sogni e le fantasie sessuali della narratrice su Hitler e i suoi progetti di acquistare “un robot personale da scoparsi”, creatole apposta dal dottor Shimada in Giappone. Della donna si sa poco: è tedesca, figlia di cattolici, ha appena perso il lavoro e contemporaneamente ricevuto l’eredità del nonno defunto. Di solito apprezza e ricerca “l’igiene dell’amore”, anche nei cessi pubblici; ha un ex amante, tale K, un fratello mai nato, Emil, una madre vanitosa e iper-femminile e un padre malato, venditore porta a porta in pensione, abituato a recarsi annualmente alla “conferenza sulle lavatrici” di Norimberga: “Tutto”, in quella città, “pur di far dimenticare alla gente l’altro evento che era solito svolgersi lì e le famose leggi”.
Costa caro fare i conti con la Germania: l’“Heimat”, la patria, odora sempre di sangue, anche a chilometri di distanza, in quella Londra in cui la protagonista cerca rifugio e aiuto – consolazione, forse – da parte dell’ebreo Seligman. Ma come può “de-nazificarsi” un popolo che “non è mai stato in lutto”? Meglio crogiolarsi nelle illusioni adolescenziali: “Quando ero più giovane pensavo sempre che il solo modo per superare davvero l’Olocausto sarebbe stato amare un ebreo”. Superare, però, è impossibile per chi non è “mai stato veramente capace di comprendere quello che abbiamo fatto, dottor Seligman”. Viceversa, “la conoscenza rende le persone brutte” e i carnefici carnefici; così, alla fine, la narratrice sceglie di sapere, e di cambiare, convinta com’è del potere catartico del suo nuovo scintillante “cazzo ebreo”.