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 2021  gennaio 06 Mercoledì calendario

Jacques Herzog vuole riportare le foreste in città

Jacques Herzog, di Herzog & de Meuron, gli architetti di edifici iconici che hanno riqualificato contesti urbani a ogni latitudine del globo, parla del rapporto fra città e natura e di come questa crisi pandemica che ha messo in ginocchio il mondo ci costringe a ripensare la nostra relazione con l’ambiente a iniziare dall’idea di città. Per Herzog, che annovera fra i suoi progetti la Tate Modern di Londra, lo stadio olimpico di Pechino progettato con Ai Weiwei, la Fondazione Feltrinelli a Porta Volta a Milano, la città è ancora, nonostante tutto, il posto migliore in cui vivere. Certo va ripensata concentrando forze e risorse su progetti che si prendano cura della qualità della vita: dal social housing al verde pubblico, alla chiusura dei centri storici al traffico privato, alla riqualificazione di grandi aree urbane, all’attenzione per le istituzioni culturali, fino alla creazione di vie d’acqua metropolitane per arginare la temperatura delle estati roventi dell’era del global warming.

Il modo per farlo? È nelle nostre mani: è la gente che può fare la differenza, con un’azione politica, collettiva e democratica, utilizzando il grande strumento e privilegio che ognuno ha a disposizione, il voto. Come è appena successo negli Usa.
Occhi blu intensi, raggiunto in video nel suo studio di Basilea, Jacques Herzog, che ha sempre messo in campo visioni inedite e radicali che hanno ribaltato tipologie e funzioni dai musei ai masterplan, lavora ora al concetto di ospedale con progetti improntati a una dimensione umanistica e integrati con il contesto. Il primo è stato il Rehab Basel, a cui sono seguiti il New North Zealand in Danimarca, il Kinderspital Zürich che aprirà nel 2022, e il Ucsf Helen Diller Medical Center, un enorme ospedale a San Francisco.
Come la pandemia cambia l’idea di città?
«L’abbiamo sempre saputo ma ora più che mai, in lockdown, ci rendiamo conto di quanto sia importante che tutti abbiano una casa di qualità con accesso a spazio e verde pubblico con alberi, luce e aria respirabile. Sembra evidente, la base minima, ma non è per niente così. La pandemia sta dicendo quanto sia urgente lavorare sulla città, che è ancora il luogo migliore in cui vivere. L’idea di trasferirsi in campagna è solo uno slogan,un’opzione per pochi privilegiati. Dobbiamo lavorare sulla città, prenderci cura dei luoghi in cui viviamo, creare qualità degli spazi abitativi e degli spazi pubblici, non solo parchi, ma luoghi non commerciali, ovvero istituzioni culturali che creino aggregazione, identità e informazione».
Da dove si comincia?
«È necessario che ogni città abbia un progetto da cui ripartire».
Chi ha il potere di mettere in atto questo processo?
«È un processo politico, servono leggi che regolamentino lo sviluppo delle città e coordinino risorse e investimenti secondo progetti che rispondano a interessi comuni. Pensi per esempio agli investitori sempre più cruciali nello sviluppo delle nostre città».
Appunto.
«Il fatto che ci siano investitori pronti a investire i loro capitali in progetti urbani è positivo, ma dovrebbero esistere leggi che obblighino a dedicare una parte consistente al social housing , a scuole, spazi pubblici non commerciali, istituzioni culturali, riforestazione. Questo dipende da noi. Mi spiego: il cambiamento dipende dalle persone che eleggiamo per governare le nostre città. È una responsabilità e un privilegio di ognuno di noi poter esprimere una preferenza attraverso il voto. Il futuro è nelle nostre mani. Guardi gli Usa».
Che ruolo hanno gli architetti?
«Proporre modelli di sviluppo per gestire densità e complessità, lavorando con la politica e gli investitori per realizzarli. È questo il loro mestiere».
Riforestazione urbana, riuso di spazi esistenti, apertura di vie d’acqua per abbassare la temperatura nelle città, sono suoi temi.
«Riforestare, anche a costo di abbattere alcuni edifici per creare grandi viali dove piantare alberi, è fondamentale per la qualità dell’aria, e per intervenire sul clima delle città. Così come si potrebbe intervenire su fiumi e canali urbani dismessi creando nuove vie d’acqua per riqualificare intere aree e incidere su traffico e temperatura».
Come prevedeva il suo progetto, con Stefano Boeri e Richard Burdett, per il masterplan di Expo 2015?
«Sì, l’idea era creare un grande parco permanente per la città di fianco alla fiera di Rho, però connesso con il centro di Milano da canali ricavati dalla rete dei navigli che scorrono già nel sottosuolo di Milano. Sarebbe stato semplice, serviva una politica che avesse il coraggio di farlo. Ma non è mai troppo tardi».
Gli elementi naturali fanno parte del vostro concetto di ospedale.
«Da poco istituzioni pubbliche e private si stanno confrontando sull’esigenza di nuovi modelli di strutture di cura più a misura d’uomo, funzionali, connessi con la vita e le funzioni della città, e per farlo hanno coinvolto tecnici come gli architetti. A Zurigo, per esempio, l’ospedale pediatrico, in consegna nel 2022 incarna un nuovo concetto: un edificio basso, orizzontale, con giardini, corti interne, balconi, la possibilità di ricevere aria e luce, integrato e collegato con la città».
La questione diventa più complessa con ospedali di grandi dimensioni in grandi città…
«L’Ucsf Helen Diller Medical Center di San Francisco sarà un ospedale gigantesco, ma il tema resta la dimensione umana del luogo di cura, qui lo sviluppo sarà verticale e i giardini ricavati a diverse altezze. E non si tratta di estetica, ma di aspetti funzionali che ottimizzino l’obiettivo della cura di tutti, dai pazienti a chi lavora o visita questi luoghi».