Il Messaggero, 6 gennaio 2021
La Regina Elisabetta compra canzoni
Elizabeth II rules, questo è certo, dopo 62 anni di regno, e con che stile. Forse meno scontato è che la Regina d’Inghilterra sia anche molto rock e pop, visto che regna (almeno per l’11,2 per cento del capitale del fondo che ne gestisce le royalties) anche sulle canzoni di Justin Timberlake, Rihanna e Beyoncé, su alcuni pezzi di Bruce Springsteen, sull’inno degli anni ’80 Don’t Stop believin’ dei Journey’ e anche sull’inevitabile ballabile ’Sweet Dreams’ degli Eurythmics. Con lei, a possedere i diritti dei più grossi successi discografici degli ultimi 40 anni, c’è anche il suo socio, l’Arcivescovo di Canterbury, il quale sarà senz’altro soddisfatto di avere il 50 per cento di All I want for Christmas is you’, hit natalizio di Maria Carey, e magari anche (almeno per il titolo) di Livin on a prayer’ di Bon Jovi, forse un po’ meno soddisfatto di far fruttare le riproduzioni di SexyBack di Timberlake («porcellina, le vedi questi manette?») o dell’irresistibile In Da Club’ del rapper 50 Cent che salmodia più o meno così: «Guarda bambina sexy/ ho dell’ecstasy se ti piace la droga/io faccio sesso non l’amore» etc etc.
Impossibile sapere se la Regina e l’Arcivescovo condividano tali gusti musicali, quello che è invece sicuro è che Ccla, fondo d’investimento della Chiesa Anglicana, di cui Elisabetta è Governatore Principale e l’Arcivescovo di Canterbury è Primate, è uno dei principali investitori di Hipgnosis Songs Fund Limited, fondo che gestisce le royalties di un catalogo con oltre 24 mila canzoni. Creato nel 2018 da Merck Mercuriadis (ex manager tra gli altri di Elton John, Beyoncé e Iron Maiden) Hipgnosis non conosce crisi, anzi, nel solo mese di marzo 2020, mentre il mondo si chiudeva in lockdown, si è concesso il lusso di acquistare altri 42 cataloghi, per un totale di 10mila canzoni e 622 milioni di euro. «La musica è più redditizia dell’oro e del petrolio, perché basta che un Trump dica o faccia una cosa stupida e i prezzi al barile impazziscono». Bon Jovi, in compenso, non conosce cadute in Borsa: negli ultimi dieci anni le sue royalties sono cresciute, costantemente, del 44 per cento. Stesso dicasi per brani che si continueranno ad ascoltare o a ballare – anche quando il petrolio sarà prosciugato, come l’immarcescibile Good Times’ degli Chic (il cui chitarrista Nile Rodgers è nel board di Hipgnosis).
Davanti a una tale affidabilità, la Chiesa Anglicana non ci ha pensato due volte. Il fondo Ccla, uno dei tre che ne gestisce il patrimonio, detiene ormai l’11,15 per cento del capitale di Hipgnosis. Guadagna ogni volta che una delle migliaia canzoni del catalogo passa alla radio, sulle piattaforme streaming o su tik tok. Una vera manna, che confermano gli investitori religiosi citati dal settimanale francese Nouvel Obs: «È un’ottima scelta, in una congiuntura di rendimenti deboli delle obbligazioni di Stato». Nell’aprile 2019 Hipgnosis aveva lanciato una campagna di sottoscrizione che aveva portato a una raccolta di 158 milioni di euro in un solo giorno, rafforzando la presenza nel capitale di Ccla e del suo partner maggiore, il gigante americano Invesco.
IL PATRIMONIO
La Regina e l’Arcivescovo, naturalmente, non sono direttamente coinvolti nella gestione dei fondi della Chiesa, né gli introiti vanno ad aumentare il loro patrimonio personale, ma la loro indiretta presenza ha forse ispirato a Mercuriadis toni meno da rocker e più consoni ai suoi blasonati investitori: «La pandemia ha cambiato modo di vedere le cose. A 60 o 70 anni, molti artisti pensano ormai al momento in cui non avranno più l’energia o la salute per ripartire in tour. Vendono i loro diritti per assicurarsi un futuro tranquillo».
Di sicuro il futuro tranquillo dei cantanti rende ancora più tranquillo il presente di chi ha deciso di scommettere più sulle canzoni che sull’oro: «Quest’anno abbiamo guadagnato 85 milioni di euro, una media di 6300 dollari ogni titolo». Nessuna sorpresa d’altra parte che le canzoni di successo abbiano il favore della Chiesa Anglicana. A parte testi a volte un po’ troppo spregiudicati per Buckingham Palace o Canterbury, il tipo di rendimento delle royalties è perfettamente consono all’establishment: «L’oro sonoro è un valore rifugio per eccellenza in un periodo di recessione, è affidabile e prevedibile – dice Mercuriadis i rendimenti di una canzone non sono legati alle fluttuazioni della Borsa». E cita come esempio il più affidabile e prevedibile, oltre che orecchiabile, di tutti: «Sweet Dreams sono quarant’anni che assicura ottimi rendimenti».