la Repubblica, 5 gennaio 2021
Tutti sull’arca di Noè, destinazione Sanremo
Le abbiamo usate come ospedali e come alberghi, attrezzate per salvare gli immigrati, addobbate con le bandiere dei congressi politici, trasformate in palcoscenici elettorali. E le abbiamo anche umiliate nell’inchino e, trainate dai cavi, le abbiamo viste sfiorare le case, le cupole e i campanili più agili e ariosi del mondo in un bocca a bocca con Palazzo Ducale, San Giorgio Maggiore, la chiesa della Salute. E però, tra i mille usi impropri che abbiamo fatto della Nave, non c’era ancora la foresteria del festival di Sanremo che, anche come metafora, sarebbe l’arca di Noè al contrario. L’idea, che la Rai non ha ancora definitivamente approvato, è che, dal 2 al 6 marzo, nel furore del diluvio universale, nel fuoco della pandemia biblica con i suoi numeri da guerra mondiale, l’arca di Noè blindi l’antropologia cantante, stipi vivi e tamponati 500 esemplari di Homo Cantor, nelle sue varie sottospecie di vip, semivip e popolaccio, prime file e platea. Così la Nave salverebbe il meglio dell’umanità scelta, biglietti paganti e posti omaggio, ma senza farla navigare, senza mandarla alla deriva. Il Festival toglierà il movimento agile e rotondo “da cigno”, che fece innamorare Hegel, allo «strumento la cui invenzione fa il più grande onore tanto all’arditezza quanto all’intelligenza dell’uomo», e terrà ancorata la Grande Nave come le piattaforme delle scorie e i magazzini galleggianti: sarà il container del pubblico di Sanremo.
Nulla a che vedere con il naufragio per inchino della Costa Concordia su quella secca di fronte all’isola del Giglio, un tratto di mare chiuso che non aveva nulla dell’oceano che travolse il Titanic. E però da quel mare, quando è calmo e senza vento, ancora oggi sale la malinconica “music ambient” dell’arcitalianissimo dialogo dei comandanti Gregorio De Falco e Francesco Schettino, che furono chitarra e voce nella notte senza fine del 13 gennaio 2012. Ecco, quel «torni a bordo cazzo», ormai più identitario di Fratelli d’Italia, del Va’ pensiero e di Volare, risuona invincibile ogni volta che una grande nave viene oltraggiata.
Come nella Nave dei folli di Hieronymus Bosch, le cinquecento anime festivaliere si perderanno infatti nel luccicante spazio-spazzatura destinato a cinquemila passeggeri e la sera porteranno negli occhi l’orgia decorativa al teatro Ariston.
Vederli sbarcare e imbarcare in abito da sera sarà come assistere a un naufragio. Fruttero e Lucentini scrissero che i croceristi «sono una truppa votata al macello culinario» ma non sapevano che solo a terra soffrono il mar di mare gli abitanti della città galleggiante, 140 mila tonnellate di junkspace, 68 metri d’altezza, 1751 cabine, 97 suite con maggiordomo personale in tight e guanti bianchi, il teatro Platinum con 1600 posti, il casinò, 4 piscine, 12 jacuzzi, 9 ristoranti e 26 ascensori e non per portare Astolfo sulla Luna ma per tenerlo lì, fermo, a cantare «sin che la barca va, lasciala andare».