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 2021  gennaio 04 Lunedì calendario

I 50 anni del Dams

Non era insolito che, negli anni Settanta, un ragazzo che voleva trasferirsi a Bologna per studiare Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo si sentisse rispondere: «Non affittiamo case a studenti del Dams». La cultura italiana, ancora permeata di conservatorismo, all’inizio diffidava di quell’«isola», nata dall’idea del grecista Benedetto Marzullo (e di altri) cinquant’anni fa, nel 1971. 
Altri tempi. L’accento sulle «arti», viste da molti come sobillatrici, l’attenzione ai linguaggi non verbali, la forte natura sperimentale del polo che nasceva nella più antica università del mondo: l’idea di Marzullo sparigliava i codici accademici e, nonostante l’iniziale appoggio di «intoccabili» come Luciano Anceschi e Ezio Raimondi, i detrattori furono subito numerosi.
Ma il progetto pilota era inarrestabile. Anche perché nasceva nel posto giusto, al momento giusto. Quelle energie che Bologna coltivava da tempo esplosero in un’alchimia difficilmente ripetibile. Per esempio, una delle anime sin dall’inizio fu Alfredo Giuliani, che aveva fatto parte del Gruppo ‘63. Andrea Pazienza finì per simboleggiare quella commistione di genio e libertà, un’arte che non si accontentava dell’espressione ma che attraversava tutta la vita. 
Le aule dove Umberto Eco insegnava a decodificare un libro o un programma televisivo erano così affollate che a volte si era costretti a seguire la lezione in corridoio. Perché? Perché lì non si insegnava «una materia», bensì si smontava e ricostruiva la vita reale, il fumetto letto la sera prima o il film appena visto. Il fatto che fu Gianni Celati (docente) a favorire l’esordio narrativo di Pier Vittorio Tondelli (allievo) la dice lunga sul nuovo rapporto con gli studenti. 
Ma non ci furono solo fiori in Strada Maggiore. Prima ancora dei misteri carichi di ombre come l’omicidio della critica d’arte Francesca Alinovi, nel 1983, il Dams affrontò critiche e attacchi nati dal pregiudizio: gli allievi visti come «eccentrici» quando non come «sfaccendati». Poi la crisi degli iscritti, dunque la «clonazione» in diversi corsi in tutta Italia (a Brescia ha fatto discutere il «matrimonio» con l’Università Cattolica). Ma da questa officina sono usciti creativi come Piero Chiambretti, Stefano Bartezzaghi, Milena Gabanelli, Paolo Fresu e molti altri. E ancora oggi attrae studenti dall’Italia e non solo. L’alchimia resiste.