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 2021  gennaio 04 Lunedì calendario

Biografia di Gipi


Gipi, nato a Pisa il 12 dicembre 1963 (57 anni). Vero nome: Gian Alfonso Pacinotti. Fumettista. Regista. Illustratore • «Maestro dell’acquerello e antidivo di successo» (Matteo Macor, la Repubblica, 2/4/2015) • «È autore, con uno stile nervoso e graffiante, di racconti brevi e storie lunghe di cui sono protagonisti l’Italia di provincia, i diseredati e sofferti temi autobiografici» (Treccani) • «È un maestro, disegna roba che ti trafigge il cuore» (Zerocalcare) • Il suo Unastoria (2013) è stato il primo fumetto candidato al premio Strega. Tra i suoi lavori: Esterno notte (2003), Appunti per una storia di guerra (2004), Questa è la stanza (2005), Hanno ritrovato la macchina (2006), S. (2006), LMVDM – La mia vita disegnata male (2008), Diario di fiume e altre storie e Verticali (entrambi del 2009 e riuniti in Baci dalla provincia, 2011), La terra dei figli (2016), Momenti straordinari con applausi finti (2019). Visto in tivù a Propaganda Live (La7, 2020-21), sua erano i disegni della sigla di Le invasioni barbariche (La7, 2010). Ha collaborato con Cuore, Blue, Il clandestino, Boxer, Lo straniero, il manifesto e la Repubblica. Ha illustrato il libro I barbari di Alessandro Baricco e la copertina del primo disco di Le luci della centrale elettrica, Canzoni da spiaggia deturpata. Ha scritto, diretto e interpretato Il ragazzo più felice del mondo (2018), la storia dell’uomo che, fingendosi adolescente, ha scritto a tutti i più famosi illustratori italiani per chiedere loro un disegno. Il film fu presentato nella sezione Sconfini alla 75ª Mostra del Cinema di Venezia • Nei suoi autoritratti si raffigura sempre di spalle. «Non so ancora bene perché, bisognerebbe chiederlo al mio psicologo: forse perché non mi piace farmi inquadrare, perché sono abituato a scappare, cambiare città, fuggire dalle mie idee e figurati da quelle degli altri».
Titoli di testa «“Ho solo un problema, io sono misantropo, non mi muovo mai, devi venire tu da me, il pranzo lo pago io” gli dico. “Allora c’è un problema, perché io sono peggio di te, vieni tu, il pranzo lo pago io” mi risponde lui. Gli ho detto che io sono uno dei più grandi scrittori italiani, e lui ha risposto “eh, sticazzi”, perché giustamente lui è uno dei più grandi fumettisti italiani. Quindi non c’è stato niente da fare, sono dovuto andare io, da Gipi. Tanto la storia di Maometto e della montagna che cammina non l’ho mai capita» (Massimiliano Parente, il Giornale, 15/11/2019)
Antipasti «Gipi ordina un piattone di tonnarelli cacio e pepe, io un’insalatina perché sono a dieta. Gipi è uno di quelli che mangia ed è magrissimo, io non mangio e non perdo un chilo. Però è vero che lui beve acqua e io Coca e rum, e al secondo rum mi sciolgo e riesco a parlargli di ciò di cui voglio parlargli, del suo libro, di lui. “È una storia autobiografica?” butto lì. Gipi annuisce, e io subito, pettegolo: “Anche la storia che non puoi avere figli?”. “Anche”» (Parente).
Vita «Ora che ti vedo capisco perché i tuoi personaggi hanno le orecchie a sventola. “Chi ha le orecchie a sventola?” (voltandosi attorno). Ma ti prendevano in giro a scuola? “Sempre. Mi hanno chiamato in tutti i modi possibili. Tipo Dumbo? Mi dicevano che prendevo Capodistria, che non esiste più, ora mi direbbero che prendo La7» (Daria Bignardi, Le invasioni barbariche, La7, 10/12/2018) • Famiglia abbastanza ricca. Suo padre vende macchine fotografiche, ha un negozio in centro a Pisa. «Portava a casa una Super8, me la faceva usare per una settimana, poi la rivendeva come nuova. Girare filmini è stata la mia prima passione» (a Arianna Finos, la Repubblica, 30/7/2011) • Due sorelle più grandi, Cristina e Annalisa, che vorrebbero chiamarlo Rocco. Invece i suoi optano per Gian Alfonso, come un nonno morto da poco. Soprannominato da tutti Gianni • «Che bambino era?
 “Ero buono, immagino. Finché ero piccino, ero buono. Troppo buono probabilmente. Disegnavo perché così non rompevo il cazzo a nessuno. In casa, c’era mia madre che stava poco bene, e dovevo dare meno fastidio possibile. Stare sul pavimento a disegnare era il modo perfetto per non dare noia”» (Gianmaria Tamarro, Vanity Fair, 16/1/2020) • Gianni finisce a fare le scuole in un quartiere molto povero di Pisa. «Mia madre è matta e mi levò dalla scuola dei ricchi per mandarmi tra i disgraziati». Tutti i suoi amici sono di estrazione opposta alla sua. Lui vorrebbe essere come loro. «E ci è riuscito? “Non ci puoi mai riuscire davvero. È diverso fare una cosa perché la vuoi fare o perché non hai scampo. Se è solo una questione di volontà resti comunque nel firmamento delle mezze seghe, perché non sei neppure riuscito ad accettare la tua vera condizione, e se va male sei salvo”» (Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano, 24/3/2014) • Visto che gli piace disegnare, Gianni si iscrive al liceo artistico. «La scuola mi faceva schifo. È vero, io ero un coglione, ma sono anche cascato male» • «Mi mettevano un soggetto davanti e mi dicevano “Sogna”. E io ero un punk a diciott’anni, non ce la facevo proprio all’idea di mettermi davanti a qualcosa e trovare questa ispirazione così eterea, mi sembrava impossibile. Non mi davano le tecniche, i modi, cosa che poi ho studiato per conto mio» (alla Bignardi) • Se ne va di casa a diciassette anni. Sogna di fare il fumettista, ma non ha i contatti giusti, vive in provincia, non sa nemmeno da che parte cominciare. «Ho vissuto a cazzo di cane. Tutti i miei amici erano disgraziati. Io ero l’unico ad avere una famiglia buona dietro e facevo di tutto per non averla. Però ce l’avevo. Nessuno dei miei amici era stronzo in quella maniera» (a David Allegranti, Il Foglio, 18/2/2019). A un certo punto gli capita di finire in galera. «In galera? “Mi hanno trovato in un campo di marijuana. Ma non era mia, passeggiavo. La mia famiglia è stata meravigliosa. Mio padre aveva l’idea che quando sei giovane fai cazzate. Mi soprannominava TDC”. TDC? “Testa di cazzo. E aveva ragione. Il fatto che qualcuno che ti ama sa che sarai una testa di cazzo è una grossa dimostrazione d’affetto”. Poi cosa è cambiato? “Mi sono bastati pochi giorni in galera per capire che non ci volevo tornare. Io sono sempre stato fortunato, anche con le droghe, mi sono fermato un attimo prima” Anche quelli intorno a lei sono stati fortunati? “No, tanti non ci sono più. Sono l’unico la cui vita ha preso una buona piega”» (Feltri) • A un certo punto entra in un’agenzia di pubblicità di Pisa come sguattero. Poi cambia agenzia e riesce a diventare art director. «Ho rischiato di diventare un pubblicitario, cioè di restare lì. Però volevo raccontare storie, così un giorno dissi “Me la gioco, provo, mollo tutto, prima che sia tardi, prima di diventare uno di quelli che dicono ‘eh da giovane io volevo…’”. Mollai tutto, rischiando abbastanza. Morii di fame per lunghi anni. Poi nel 94 Berlusconi vinse le elezioni. Ti ricordi come le vinse? Le vinse promettendo un milione di posti di lavoro. Io faccio parte di quel milione. Quando sentii la notizia che Berlusconi aveva vinto stavo facendo la cacca: lo giuro, ero in bagno, e al di là della parete del bagno ho sentito la tivù annunciare la vittoria di Berlusconi. A me di politica non me ne era mai fregato niente, ma quello mi fece impressione. Mi dette noia. C’era un dolore di origine sociale, un dolore che non avevo mai provato in vita mia. E quindi mi ricordo che dopo aver studiato anni per imparare a disegnare bene, uscii da quel bagno, feci tre strisce disegnate a cazzo di cane, veramente malissimo, ma con delle parole accanto. Andai a lavorare in agenzia, e mandai via fax queste cose alla redazione di Cuore, senza avere nessuna speranza che mi richiamassero. Dopo un’oretta, mentre stavo tornando da Prato a Pisa, in macchina, sulla A11, mi chiamò mia sorella Annalisa: “Gianni, è successo un casino. Sai quando t’hanno arrestato, a vent’anni. Hanno riaperto il processo, ti devono riprocessare da capo, devi tornare in galera”. Io mi cacai addosso, dissi: “No, porca puttana”. E poi lei fece una gran risata: “No, ha chiamato Michele Serra, ti vogliono pubblicare le cose che hai mandato”. Nella mia famiglia c’era questa usanza: quando ti volevano dare una buona notizia prima te ne davano una orrenda inventata» (da Citofonare Gipi, Gedi Visual, 20/2/2020) • A Cuore si trova molto bene. «Non c’erano i social. Io facevo le mie cose per il giornale e non avevo nessun ritorno del pubblico. L’unico ritorno era quello degli amici o della redazione». Guadagna anche abbastanza soldi. Un giorno, però, sente Mentana in tivù annunciare che la rivista ha chiuso i battenti. Deve ricominciare da capo.
Successo Primo libro a 37 anni. I primi tempi vende 1.500/2.000 copie. «Non ci potevo campare». Piano piano si fa conoscere. I primi premi. Le prime collaborazioni. La svolta però arriva solo quando va a La7 dalla Bignardi. Imbarazzatissimo. Non è mai stato in televisione. A un certo punto chiede: «Perché applaudono?». Racconta di cose privatissime: «“Avevo una malattia che nessuno sapeva che cos’era. Io praticamente avevo difficoltà a fare l’amore con la mia fidanzata. Quindi tanti dottori. E ho scoperto che un uomo in quella condizione può veramente scivolare all’inferno. Questo ti scatena una serie di cose parallele terribili. Allora ho cominciato a riflettere su questo, cioè sul perché una cosa del genere mi doveva distruggere lo spirito, e allora ho cominciato a riflettere sulla sessualità, sui rapporti tra uomo e donna, su come vivevo tutto questo e sui tanti disastri sentimentali che avevo lasciato alle spalle”. E cosa hai capito? “Niente. Però ho fatto lo sforzo di rifletterci, mentre prima lasciavo fidanzate in continuazione dicendomi che facevo bene, che erano loro ad aver qualcosa che non andava, invece, lavorando sul mio libro ho pensato che probabilmente ero io ad avere qualcosa che non andava”» (Bignardi) • «Tutto cambiò di colpo. Prima vendevo 1 poi 30. Mi chiedevano opinioni su ogni cosa, mi fermavano per strada, quasi fossi una star o un guru. La lusinga è velenosa e io sentivo come un rumore di fondo nelle orecchie, che mi schiacciava: avevo il terrore di essere ripetitivo, indulgente verso il pubblico» (a Massimo Vincenzi, La Stampa, 20/5/2017) • «“Chiunque fa un mestiere che prevede esposizione al pubblico ha qualcosa che non va nella testa, o forse nel cuore. Richiedere l’approvazione e l’affetto di sconosciuti, come fa chi va sul palco, chi pubblica un libro o fa un film, non è giusto. È molto più sano chiederlo alle persone che ami. Ci sono tanti mestieri onorevoli che non prevedono l’esposizione continua. Se la insegui è perché hai dei buchi profondi di affettività e li vuoi riempire con gli applausi. Ma io ho scoperto che gli applausi quel buco lo allargano […] Negli anni in cui stavo a Parigi pensavo solo a sdraiarmi sotto la metro. Eppure ero al massimo del mio successo, La Mia Vita Disegnata Male era stato un trionfo, avevo una fidanzata francese. Ma stavo di merda. Eppure avevo esattamente tutto quello che volevo. Poi una mia sorella, più grande di me, che già si era posta queste domande, mi ha passato il libro di una psicoterapeuta, Alice Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé. Mi ha cambiato: cercavo la mia foto tra le pagine perché leggevo la descrizione di tutti i miei comportamenti”. E come se ne esce? “Ho cercato una briciola del mio me originario. Ho lasciato la Francia e sono tornato in Italia, in provincia, dai miei amici delle medie che non sanno neanche che fumetti faccio. Ho iniziato a capire meglio. E, piano piano, a soffrire sempre meno”. Però nei fumetti questo percorso è rimasto sullo sfondo. “Non l’ho mai raccontato nei libri perché mi vergogno”» (Stefano Feltri, Il Fatto Quotidiano, 7/11/2018).
Amore Marito di una Chiara Palmieri. «Mi sono innamorato per la prima volta a 50 anni. Pensavo: artisticamente sono fottuto, sto troppo bene. Avevo una serenità inedita e mi chiedevo: e ora di che cazzo parlo? Poi però ho scritto La terra dei figli dove non ero io l’oggetto centrale della mia narrazione e credo sia il mio libro migliore» (a Feltri). Non può avere figli, forse un giorno ne adotterà.
Dolore «Di cosa parla Momenti straordinari con applausi finti? “Un comico sta al capezzale della madre nei suoi ultimi quattro giorni di vita e deve cercare di continuare a far ridere il suo pubblico. Il comico, mio malgrado, sono io”» (Luca Valtorta, la Repubblica, 28/10/2019). Di solito per i suoi libri impiega uno o due anni di lavoro. Per quello bastarono sei mesi.
Politica Va sempre a votare. «Sì, certo, sempre col cazzo girato ma ci vado. Ho votato Pd, perché sono pazzo, perché sono toscano, perché la Toscana è amministrata bene e l’ospedale di Pontedera ha salvato la vita a mia sorella». Una volta ha votato anche per Di Pietro.
Religione «Se qualcuno si offende per delle vignette su Maometto è un problema suo. Non di chi le fa. E nemmeno di dio. Voglio dire, poniamo per assurdo che dio esista: è dio, ha creato l’universo, i buchi neri, la nebulosa ‘testa di cavallo’, e si offende se uno dei suoi insetti umani nella sua scintilla di esistenza ha pronunciato o disegnato una parola che non gli piace? Se pensi così, devi avere un’idea davvero miserabile di dio, lo immagini simile al tuo capo ufficio. Io non credo in dio, ma se ci credessi vorrei che fosse migliore di me, libero dalle mie meschinità umane» (David Allegranti, Il Foglio, 31/10/2020)
Curiosità Abita a Roma (poco fuori dal grande raccordo anulare), perché la moglie è romana, ma odia la città e parla ancora con la cadenza pisana • Amico di Renato Brunetta, che lo invita spesso a cena • Frequenta l’osteria Cinti, sulla via Ardeatina, vicino al santuario del Divino Amore. «Fanno un tiramisù che è la fine del mondo» • Guida una 500 • Gli piace stare su Facebook e giocare ai videogiochi. «Ci ho buttato una vita» • Nel 2001 girò un cortometraggio in cui gli alieni, sbarcati nella campagna pisana, venivano presi a sassate al grido di «Dovevate restare negli anni Cinquanta» • Suo nonno era massone • Quando lavorava per Cuore lo mandarono a fare un servizio in un campo rom e per poco gli fecero la pelle • «Se ti danno del buonista che pensi? “Dipende dal contesto. Cosa vuol dire essere un buonista? Se vuol dire essere una persona buona, io faccio di tutto per esserlo. Se essere una persona buona viene definito buonista, sticazzi, sarò buonista. In realtà io poi sono stra-incazzoso, litigo in continuazione. A me non piace nemmeno la frase ‘restiamo umani’. Mi fa cacare. Perché gli umani nella loro storia non hanno mai dimostrato di essere questa cosa così rosea. Meglio essere trilobiti, che non hanno mai fatto male a nessuno. Mio padre mi ha insegnato a essere buono. Non capisco qual è il gusto di essere malvagi con chi è messo peggio di te”» (David Allegranti, Il Foglio, 18/2/2019) • «Non ho mai capito chi usa il porno a pagamento. È come comprarsi una borsa di marca quando in giro le trovi finte» • È nato lo stesso giorno di Zerocalcare, ma vent’anni prima. «Con Zerocalcare ci siamo conosciuti perché tutti continuavano a confrontare i nostri lavori. All’inizio ero invidioso di tutte le copie che vendeva, rosicavo tantissimo: prima di conoscerlo speravo quasi mi stesse sui coglioni. E invece siamo diventati amici, e mi fa ridere soffra così tanto il successo. Ma se fatica così vuol dire che è un bravo ragazzo» (Macor) • Da regista, ha deciso di firmarsi con nome e cognome, in omaggio al padre, che da piccolo gli faceva usare la Super8 • «“Senti Gianni cos’è la morte?”. Gipi beve un sorso d’acqua, mi fa un altro dei suoi bellissimi sorrisi gipiani, e risponde: «Una roba dove siamo già stati, perché eravamo morti già prima di nascere. E non era neanche una tragedia”» (Parente) • «Di che cosa ha paura? “Di perdere il talento. E delle malattie. Ma perdere il talento, arrivare a quel giorno terribile in cui mi metterò al tavolino e non succederà niente, mi fa davvero paura. Perché mettermi al tavolino è tutto quello che ho”» (Tamarro).
Titoli di coda «A stare con Gipi ti sembra di vivere come dentro uno dei suoi meravigliosi fumetti, insomma parla come un fumetto stampato. Ci si sente malinconici ma euforici. O forse è l’etanolo che comincia a farmi effetto. Comunque sia lo amo, e glielo dico: “Ti amo”. Gipi sorride e dice: “Forse dovresti andarci piano con quel rum”» (Parente).