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 2021  gennaio 03 Domenica calendario

QQAN66YCOVID Quei no vax di Kant e Rousseau

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C’è chi pensa, fra cui «The Economist» del 12 dicembre scorso, che l’efficacia della campagna di vaccinazione contro il Covid in Europa sia a rischio. Gli studi sulla percezione delle vaccinazioni sono inquietanti. Se l’Eurobarometro dell’aprile 2019 registrava un 34% di cittadini che non si vaccinavano né vaccinavano i figli, il più recente studio Ipsos MORI rileva ben un 46% di contrari a vaccinarsi contro Covid-19 (in Italia 33%, stesso dato di uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità).
Lo scienziato e divulgatore Jonathan M. Berman ha pubblicato un saggio ricco di informazioni, benché carente nella profilazione storica e psicologica del problema. Egli pensa, correttamente, che queste persone in larghissima parte vogliono essere buoni genitori, ma poi le cose sfuggono loro di mano. La storia della vaccinazione testimonia i progressi della scienza moderna, ma anche promesse non mantenute e incidenti. Si tratta, insiste il nostro, anche di storie di genitori che hanno visto morire o diventare disabile un bambino (da mezzo secolo quasi mai a causa delle vaccinazioni), subìto l’azione illiberale di istituzioni inefficienti o che devono negoziare con l’appartenenza a gruppi socio-culturali settari. Non negano la scienza tout  court, ma selezionano con cura informazioni e disinformazioni per costruirsi delle tale di superstizioni.
Cercando di immaginare come approcciare un fenomeno che interessa mondi tanti diversi come Nigeria, Pakistan, Paesi slavi e Manhattan, Berman non pensa che gli scienziati dovrebbero comunicare in modo più efficace, o i governi combattere più attivamente gli anti-vaccinisti. Ritiene si debbano studiare i processi di formazione delle credenze nelle comunità, per intercettare valori condivisi. Tuttavia, illustra ricerche che mancano di un razionale psicologico-evolutivo. Proviamo con un’altra narrazione.
Le vaccinazioni sono l’intervento medico, con radici nel pensiero magico, meno comprensibile intuitivamente. Si tratta di farsi inoculare o consentire l’inoculazione ai nostri figli, mentre stiamo/stanno bene, di qualcosa che non conosciamo, e sulla fiducia. I farmaci o gli interventi chirurgici riguardano persone che stanno male. È provato che siamo una specie avversa al rischio, che sottostima i rischi più probabili, e abbiamo evoluto un sistema immunitario comportamentale, fatto di scelte, valori, credenze che servivano a tener lontani dalle comunità i patogeni in assenza di conoscenze; sistema che utilizza come motore motivazionale l’emozione del disgusto, che si attiva di fronte a segnali come sporcizia e malattia, modulati da riti e religioni, a cui agganciare idee di impurità e immoralità.
La pratica di inoculare il vaiolo umano a persone sane, in una variante più lieve, per proteggere dalla forma grave (variolazione), era parte della tradizione medica o sciamanica in Cina, Turchia e paesi africani dal Cinquecento. In Cina almeno dal 1000 circa. In quei contesti di medicina insieme magica e naturalistica, praticata da medici con tratti sciamanici e dove erano evidenti i vantaggi per la comunità, non era messa in discussione. 
Quando fu introdotta in Occidente dove ragione scientifica e individualismo tessevano nuove dinamiche sociali, cioè nel 1720-22 a Londra e a Boston, suscitò diverse reazioni. Ricordiamo tutti la lettera filosofica di Voltaire in difesa dell’innesto, nel 1734. O il Verri del 1766. Poco si dice sugli argomenti di chi era contrario, fra cui diversi teologi che la giudicavano una interferenza nei disegni della provvidenza o coloro che giudicavano le epidemie «salutari fenomeni» per le società. Per Kant, trattandosi di una pratica pericolosa era immorale mettere a rischio la vita, mentre per Rousseau era inefficace e se si rimaneva a contatto con la natura non ci si ammalava. Evidente nei critici il disgusto per il trasferimento di pus morbifico da malati a sani. La naturale avversione verso parassiti/malattie, si ritorceva contro una tecnica di protezione artificiale.
Nel 1798 arrivò la vaccinazione jenneriana, che usava il vaiolo delle vacche per immunizzare. Sempre Kant, quello del «sapere aude», era disgustato da quella «bestializzazione» o «minotaurizzazione». Insieme alla rischiosità e poi ai motivi liberali per opporsi in Gran Bretagna con moti di piazza alla obbligatorietà della vaccinazione antivaiolosa, il principale argomento, espresso nelle discussioni pubbliche, nei pamphlet e nelle caricature, si basava sulla ripugnanza per l’inoculazione di pus di vaiolo di vitello o di vaiolo vaccino prelevato dal braccio di una persona, nel corpo di un bambino o di un sano. Nel 1840 la variolazione fu messa al bando, ma nel frattempo i virus umani avevano ricombinato con quelli vaccini, rendendoli più immunogeni. La mancanza di dati statistici controllati consentiva l’opposizione pregiudiziale anche di medici e scienziati, mentre la propaganda stimolava il disgusto nella percezione pubblica con immagini di malattia associate alla inoculazione. 
Le personalità di rilievo intellettuale che definirono «sporche» o «immorali» le vaccinazioni intanto diradavano: ultimi furono forse George Bernard Shaw e Mahatma Gandhi. Ma l’idea di contaminazione del corpo e dell’anima a seguito dei vaccini è espressa oggi da personaggi dello spettacolo antivaccinisti.
Fino agli anni Settanta circa, i modi in cui erano preparati i vaccini potevano essere usati per provocare disgusto. Il vaccino antivaioloso diventava abbastanza pulito solo negli anni Cinquanta, mentre prima era zeppo di virus e batteri sia che venisse da un braccio umano (che poteva avere sifilide o tubercolosi) sia che provenisse solo (dal 1896) da vitelli e immerso in glicerina. Il primo vaccino attenuato artificialmente, quello di Pasteur contro la rabbia del 1885, era midollo spinale di coniglio infetto, privo di sufficienti controlli e rischioso. Quello contro la tubercolosi (1921) usava il bacillo bovino, altamente instabile come dimostrarono diversi incidenti. I vaccini contro la polio erano coltivati su cellule renali di scimmie zeppe di virus, anche tumorali. Morbilità e mortalità infantile percepite per infezioni, erano talmente alte in passato che provocavano più repulsione delle vaccinazioni. Grazie ai progressi scientifici e tecnologici da decenni i vaccini sono però sicuri.
Il paradosso della modernità è che si sono ridotte le malattie infettive, grazie ai vaccini, e ci sono meno stimoli per essere disgustati dagli effetti dei parassiti, e continuare a preferire i vaccini. Il nostro cervello è quello del paleolitico e alcuni usano bias cognitivi per giustificare una percezione distorta del rischio e un disgusto male indirizzato, cioè contro le vaccinazioni. Uno studio ha dimostrato che un modo per far diventare favorevoli persone esitanti verso il vaccino anti-morbillo è mostrare disturbanti immagini di bambini devastati dalla malattia. 
Se sul piano psicologico la reazione degli antivaccinisti, dal Settecento, è modulata anche dall’emozione del disgusto, avrebbe senso fare una comunicazione che sfrutti il disgusto verso la malattia per incentivare, almeno negli esitanti, la disponibilità a vaccinarsi. Forse non cercare di convincere con la ragione, ma mostrare cosa significa essere intubati con Covid-19, o gli effetti del virus su polmoni e cervello.