Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2021
Le domande e teorie sulle origini della vita
Il libro del giornalista scientifico inglese Michael Marshall è la storia di uno dei dilemmi che intriga l’umanità da quando ha l’uso di ragione: che cosa la vita sia e come sia sorta sulla terra. Tutte le culture, anche le più antiche e remote, hanno sentito e sentono il bisogno di mitologie o ipotesi sull’origine del mondo e della vita. Memorabili le parole di Erwin Schrödinger del 1943 secondo le quali «La vita sembra dipendere da un comportamento ordinato e retto da leggi rigorose della materia, non basato esclusivamente sulla tendenza di questa a passare dall’ordine al disordine, ma basata in parte sulla conservazione dell’ordine esistente».
La vita, dunque, per Schrödinger, «si alimenta di entropia negativa...mangiando, bevendo, respirando» cioè col «metabolismo». Che la vita sia l’eccezione all’aumento dell’entropia è l’unica cosa certa che sappiamo di lei. Nella seconda metà del XVII secolo il microscopio fu una rivoluzione nello studio della vita. Ci si rese conto che c’è vita ovunque: piante e animali, insetti, esseri microscopici, miliardi di batteri. Terra e acqua pullulano di minutissima animacula, scrisse l’iniziatore della microbiologia, il gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602-1680). Animacula si formerebbero in carni putrefatte.
Il protomedico di Casa Medici Francesco Redi (1626-1698), in un lavoro del 1668, pietra miliare della biologia, dimostrò, con semplici esperimenti nella miglior logica della ricerca, che la vita viene dalla vita e non dalla materia: vipere, pesci e altri animali putrefatti si ricoprivano di insetti e di vermi solo in contatto con agenti vivi. In contenitori chiusi non scaturì alcun animale. Redi aveva ragione, ma rimaneva la domanda come la vita avesse avuto origine. Lo studio della vita, anche di quella di esseri monocellulari, ha mostrato quanto sia complicata e che un confine netto fra vita e non vita non esiste. La vita, si diceva, ha tre caratteristiche: essere circoscritta nella forma di un essere vivente, nutrirsi, cioè utilizzare energia, e riprodursi. Ciò non vale, ad esempio, per i virus, che si riproducono utilizzando il gene d’altri esseri viventi. Il virus non è vivo come un coniglio ma nemmeno non vivo come un sasso.
Ci si chiede se non sia tempo sprecato cercare una definizione della vita. Ce ne sono oltre cento, e tutte con la loro ragion d’essere, segno di quanto poco si sappia. Gli scienziati di cui parla Marshall, che studiano le origini della vita, sono interessati all’evoluzione precedente la prima popolazione di procarioti, esseri monocellulari senza nucleo, con un solo cromosoma senza membrana e senza proteine. Procariota di oltre tre miliardi d’anni orsono fu verosimilmente LUCA, acronimo di last universal common ancestor, il cui codice genetico è comune tutt’ora a tutti gli esseri viventi. Per questo si suppone che il passaggio, misterioso, da materia a vita sia avvenuto una sola volta, e che LUCA sia l’antenato comune a tutta la natura vivente. Il codice genetico è il sistema che determina la corrispondenza fra le sequenza dei nucleotidi (molecole con una base azotata, uno zucchero e fosfati) lungo il DNA e la sequenza degli aminoacidi nelle proteine, i mattoni della natura vivente. Marshall si occupa degli aspetti chimici delle ricerche sull’origine della vita, nessuna delle quali ha portato alla soluzione del dilemma o alla scelta della metodologia per arrivarci.
Il russo Alexander Oparin e l’inglese J.B. Haldane negli anni ’20 del ’900 formularono l’ipotesi che la vita fosse nata nell’oceano primitivo. Un esperimento di Stanley Miller e Harold Urey, condotto a Chicago nel 1952, sembrò confermarli: due sfere di vetro collegate fra di loro erano riempite l’una d’acqua, analoga alla zuppa primordiale, e l’altra di una miscela gassosa. Dopo due giorni di scariche elettriche, ritenute frequenti all’origine della terra, l’acqua era gialla. Il giallo era glicine, il più semplice degli aminoacidi. Si ritenne che potesse essere stato il primo mattone della vita, anche se rimaneva da spiegare come dal glicine o altri aminoacidi sorga la vita. Si vide poi che l’atmosfera primordiale, dovuta ad eruzioni vulcaniche, era molto diversa da quella dell’esperimento.
Quando, agli inizi degli anni ’50, si scoprì il DNA come impalcatura essenziale della vita si scoprì l’universalità di LUCA, cioè del codice genetico di tutte le forme viventi. Ma come si era formato LUCA? Il dilemma non è solo questo. Il codice genetico, che tanto ha contribuito a capire fenomeni vitali essenziali, non spiega come le molecole di DNA e RNA trasmettano la spinta alla formazione di esseri viventi con le loro caratteristiche: come, ad esempio, da un uovo di donna fecondato si formi un individuo diverso da tutti gli altri. L’autore si sofferma anche su teorie improbabili, come la panspermia, secondo la quale materia vivente sarebbe piovuta dal cielo: è inverosimile che essa sopravviva ad un viaggio di anni o millenni, a temperatura e velocità estreme e all’impatto con la terra.
Altra ipotesi bizzarra, molto discussa negli anni ’60, fu quella di Alexander Graham Cairns-Smith di Glasgow, che descriveva come nella creta si formassero spontaneamente cristalli che sarebbero potuti evolvere fino a diventare molecole biologiche. Nessuno, tranne lui, trovò roba del genere. Dal 1970 si ritiene che le componenti di una cellula si siano formate indipendentemente l’una dall’altra. Ciò è assodato per i mitocondri, che nascono come procarioti liberi per essere poi assorbiti da un eucariota, cellula con nucleo, ma non risolve il problema. Il libro è la storia molto interessante di come i tentativi di spiegare la vita, che spesso hanno portato a grandi scoperte, non hanno portato chiarezza circa l’origine della vita. L’uomo deve arrendersi all’idea che non può capire tutto.