Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2021
QQAN93 15QQA40 Storia dell’Armenia
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Si è sempre un po’ incerti, quando si tratta di attribuire l’Armenia – come, del resto, la vicina e “da sempre” rivale Georgia – a uno dei due continenti sul cui mai ben tracciato confine esse si trovano: stanno in Europa oppure in Asia? E la stessa indecisione si nota a proposito della catena montuosa del Caucaso, legata al mito di Prometeo e avvertita dunque quasi come uno dei luoghi dai quali è scaturita la civiltà. E del resto, pare che da quest’area sia nata la “cultura del ferro”. D’altronde è in Armenia la regione dell’Ararat, un sistema montuoso che culmina col monte in antico denominato Masis che troneggia con i suoi 5000 metri e che viene indicato tradizionalmente come il luogo sul quale si adagiò l’Arca di Noè alla fine del “diluvio universale”.
L’Armenia si trova in un’area di magica ma scomoda cerniera: alla confluenza di tre aree che per lunghi secoli hanno coinciso con tre grandi imperi: quello romano d’Oriente, poi bizantino, quindi ottomano, oggi turco; quello czarista, poi sovietico e ancor oggi russo; quello parto-persiano, poi califfale abbaside, quindi persiano-iraniano sciita, oggi iraniano repubblicano e sciita. A livello geopolitico, una grande occasione e una grande scommessa. Eppure, degli armeni, sappiamo poco: abbiamo presenti i loro profili stilizzati, che caricaturisti malevoli hanno tante volte assimilato al cliché degli ebrei: li sappiamo abili mercanti, ancora una volta come gli ebrei, e al pari di loro vittime di un genocidio che però ha impiegato tempo prima di essere riconosciuto, e a denti stretti, e non da tutti. Dell’Armenia conosciamo il mitico, innevato, onnipresente Ararat, le splendide architetture alle quali sembra molto debba anche il romanico europeo, la splendida cucina e alcuni formidabili ristoranti specie di Mosca e di Parigi. Conosciamo un po’ il loro folklore, che tende a confondersi con gli altri “cosacco”-caucasici. Ci è noto (ma meno di quanto dovrebbe) il grande compositore Aram Il’i? Kha?aturjan, quello della Danza delle Spade del balletto Gajaneh e dell’epica, travolgente sinfoniaPoema a Stalin. Infine, quanto meno i non più giovanissimi tra noi hanno molto amato Charles Aznavour e Sylvie Vartan.
Ma la storia di questa realtà etnica e culturale, ben più vasta dei confini della repubblica armena di oggi, resta lontana e sconosciuta. Eppure, quanto meno in certe fasi della nostra storia, è stata molto vicina all’Occidente. E a raccontarcela si sono messi assieme, adesso, due big della nostra cultura universitaria: Aldo Ferrari, armenista (ma anche russologo, slavologo ed “eurasista”) della veneziana Ca’ Foscari, e Giusto Traina, che insegna Storia romana alla Sorbonne. Ne è venuto fuori un librone in formato tascabile. Poco più di 200 pagine, ma piene da scoppiare di dati, d’interpretazioni, d’idee. Dopo avere con loro scorso a galoppo la storia di questo “piccolo” Paese caucasico asceso di nuovo allo scomodo proscenio internazionale per l’ennesimo conflitto col vicino Azerbaijan, vi sorprenderete a chiedervi come mai non vi eravate accorti prima della sua importanza. Fece il suo ingresso nella storia antica come sede del regno hurrita di Urartu, fra IX e VII secolo sede di una popolazione d’idioma indoeuropeo finì sotto la dominazione dei medi, dei persiani achemenidi e quindi di Alessandro. Dalla sconfitta del re grecosiriaco Antioco II germogliò alfine la grande Armenia: e visibilmente Giusto Traina si diverte un sacco a ritessere la storia di Tigran il Grande (sec.II-I a.C.) e dei suoi rapporti con Lucullo (che era qualcosa di più di un gourmet) e di Pompeo. Da allora, l’Armenia fu uno Stato-cuscinetto fra il mondo romano-bizantino e quello parto-persiano: intanto, il cristianesimo era penetrato profondamente nel Paese dando luogo dalla fine del III secolo a una Chiesa autocefala armena che aderì al monofisismo. Dopo la conquista musulmana e una riscossa culminata nel fiorente regno dei sovrani bagratidi (885-1079), battuto dai bizantini, i principi armeni trovarono un insperato apporto nei conquistatori occidentali della I crociata avviando un rapporto strettissimo con loro (molte principesse armene sposarono capi crociati) e controllando un territorio molto ampio, che dal Mediterraneo con la Cilicia (la “Piccola Armenia”) giungeva fino al Caspio. In tale contesto l’Armenia, innervata da importanti vie di commercio, ebbe modo di collegarsi al Sacro Romano Impero e al regno di Cipro die Lusignano e più tardi – grazie a un forte rapporto con alcuni principati mongoli genghizjkhanidi – avviò un rapporto strettissimo con i cavalieri di San Giovanni (poi di Rodi) e poi con i genovesi (ma anche con i veneziani: si pensi all’Isola di San Lazzaro sulla laguna).
Con la seconda metà del Quattrocento cominciò la danza politico-militare-diplomatica del fatidico “triangolo” persiano-turco-russo, al quale Aldo Ferrari dedica pagine appassionanti che sono esemplari anche per comprendere qualcosa del “mosaico caucasico” moderno e contemporaneo, esito del quale (per ora) sono i conflitti di cui di recente siamo stati testimoni. La Russia, ultima arrivata nello scenario armeno, vi giocò in cambio un ruolo importante atteggiandosi soprattutto a paladina della Chiesa cristiana di fronte all’Islam dei sultani e degli shah. Al tempo stesso, però, la vivacissima intellighentzija armena otto-novecentesca, diffidando dei tedeschi troppo amici dei turchi, si andò orientando sempre di più verso una francofilia molto pronunziata che riprendeva del resto rapporti d’amicizia già medievali. Cancellata dalle pretese espansionistiche dei vicini, la repubblica armena rinacque dopo la Prima guerra mondiale ma fu poi fagocitata dall’Unione sovietica per tornar indipendente solo di recente. In cambio, importante fu la presenza armena tanto in Russia quanto in Turchia tanto in Persia.
La modernizzazione, il genocidio, la diaspora, sono i tre grandi momenti della storia armena otto-novecentesca, che fa della Repubblica armena di oggi un piccolo Stato al quale guarda un’immensa diaspora estesa fino all’America e all’Australia. Ferrari mostra molto bene e con passione come il rapporto fra madrepatria e diaspora continui ad essere l’asse portante della politica e della cultura armena e della loro importanza internazionale. Ancora un parallelismo – piaccia o no? – con gli ebrei?