Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2021
Biografia di Federigo Enriques
Una folla di uomini di scienza venuti da ogni parte d’Italia, di professori e di studenti, il 22 ottobre 1921 si accalca nell’Aula Magna dell’Archiginnasio di Bologna per ascoltare le parole di Albert Einstein. Vi accorrono anche «umili artigiani e operai», assicura un testimone dell’epoca. La relatività è una teoria di moda, ne parlano i giornali. Quasi nessuno la capisce, ma l’esibizione di Einstein è accolta come «quella di un divo del bel canto su una scena lirica», si legge in una cronaca del tempo. A invitare l’illustre scienziato è stato Federigo Enriques, un geniale matematico, uno dei maestri della scuola italiana di geometria algebrica, che si è affermata su posizioni di riconosciuta avanguardia sulla scena internazionale. Insomma, uno dei grandi della matematica della prima metà del Novecento. Ma non solo. La riflessione critica sui principi della geometria e sulla natura dello spazio ha rappresentato per Enriques il punto di partenza per l’elaborazione di una propria filosofia “scientifica”. Conclusa l’entusiasmante stagione che, con la collaborazione dell’amico (e poi cognato) Guido Castelnuovo, in meno di dieci anni ha portato alla creazione della teoria delle superficie algebriche, con I problemi della scienza (1906) Enriques si affaccia nel mondo della filosofia, convinto che alla geometria si debba «concedere un posto d’onore nel campo degli studi filosofici». In particolare, le geometrie non euclidee hanno reso «manifesto che le nostre nozioni geometriche, in quanto si riferiscono alla realtà sensibile, non possono in alcun modo pretendere a quella rigorosa certezza, che fu tenuta come uno degli argomenti più forti in favore del loro carattere a priori». La critica al kantismo si accompagna all’idea che «il progresso della scienza è procedimento di approssimazioni successive, dove dalle deduzioni parzialmente verificate e dalle contraddizioni eliminanti l’errore delle ipotesi implicite, sorgono nuove induzioni più precise, più probabili, più estese». Un’idea ribadita in Scienza e razionalismo (1912): «La corrispondenza fra i concetti scientifici e la realtà sensibile rimane sempre una corrispondenza approssimata, ma il valore obiettivo della razionalità del sapere consiste in ciò che il processo della scienza è un processo di approssimazioni successive illimitatamente perseguibile». Ed è quanto sostiene anche presentando Einstein al pubblico dell’Archiginnasio. Nessuna teoria, dice Enriques, «pretende oggi ad una assoluta esattezza, ma ciascuna si dà come un grado perfettibile della verità, che si svolge e cresce col progresso della ragione». La “rivoluzione filosofica” di Einstein non segna dunque la morte della teoria newtoniana, «la bancarotta della scienza» come sostiene qualcuno, ma rappresenta «la conquista di una verità più vera, di fronte a cui la precedente figurerà sempre come un grado di approssimazione».
Le conferenze di Einstein segnano l’epilogo del periodo bolognese di Enriques, prima del suo trasferimento a Roma. Dopo gli studi alla Normale di Pisa e un periodo di perfezionamento a Roma e Torino, appena ventitreenne (era nato a Livorno 150 anni fa, il 5 gennaio 1871) Enriques approda all’Alma Mater con l’incarico di insegnamento della geometria proiettiva. All’inizio del nuovo secolo la sua vulcanica attività si dispiega nei campi più diversi, dalla ricerca matematica ai problemi dell’insegnamento secondario e universitario agli studi di carattere filosofico. Nel 1907 viene eletto presidente della Società Filosofica Italiana, e fonda la rivista «Scientia» per dar voce a una «filosofia libera da legami diretti coi sistemi tradizionali». Mentre I Problemi della scienzasono tradotti all’estero, l’ingresso di Enriques nel mondo della filosofia italiana viene accolto con accuse di “dilettantismo scientifico” da parte dei filosofi idealisti Gentile e Croce. Accuse ribadite con rinnovato vigore nel 1911 quando Enriques organizza a Bologna il quarto Congresso Internazionale di Filosofia. Al termine del quale Croce rilascia un’astiosa intervista a un quotidiano per presentare Enriques come «un volonteroso professore» di matematica «che con zelo ma scarsa preparazione si diletta di filosofia» per poi, nel 1919, ridurre la vicenda a una «polemichetta» con un matematico «preso da zelo per quella filosofia astrattamente razionalistica, che sorge facile nei cervelli dei matematici e cerca e trova fortuna nei circoli democratici e massonici».
Nella vita politica e nella cultura del tempo la Grande Guerra segna una cesura profonda, resa emblematica per Enriques dall’abbandono della direzione di «Scientia» per contrasti sulle valutazioni politiche della guerra e una diversa visione del ruolo della rivista. Al tempo stesso, dà alle stampe il primo dei quattro volumi di Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche (1916) raccolte dall’allievo Oscar Chisini, una vera e propria miniera di risultati secondo l’indirizzo della “scuola italiana”. Del resto, la sostanziale estraneità rivendicata alla scienza dalle vicende contingenti della vita politica sembra essere la chiave di lettura dell’attività di Enriques anche negli anni del fascismo. Nel 1946, ricordando la figura dell’amico appena scomparso, Castelnuovo scriverà che egli «assetato di libertà, profondamente individualista, avversò fin dal principio le ideologie di quel regime». E tuttavia, forse perché animato da una concezione aristocratica della matematica e della scienza, nella convinzione che non debbano contaminarsi con le miserie della vita, nel cruciale anno 1925 Enriques si astiene dal firmare sia il «Manifesto degli intellettuali fascisti» di Gentile sia il «Contromanifesto» di Croce, sottoscritto invece da Castelnuovo e altri colleghi e amici. E l’anno seguente, dimentico delle lontane polemiche, accetta l’invito di Gentile di collaborare all’Enciclopedia Italiana diretta dal filosofo. Nella capitale l’insegnamento dalla cattedra di geometria superiore si accompagna a un crescente interesse per la storia della scienza, testimoniato dalla direzione dell’omonimo Istituto e dai volumi scritti con Giorgio de Santillana, la Storia del pensiero scientifico (1932) seguita dal Compendio del pensiero scientifico (1937). L’importanza della storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale è ribadita nella sua ultima conferenza all’Accademia dei Lincei nel 1938 alla vigilia delle Leggi razziali che bandiscono Enriques e i suoi libri dalle università e dalle scuole. Nell’inverno tra il 1943 e il 1944 durante l’occupazione tedesca a Roma, vive in città in clandestinità, sotto falso nome come Castelnuovo, lavorando col giovane amico Manlio Mazziotti al libro Le dottrine di Democrito d’Abdera, che uscirà postumo nel 1948 così come il volume Le superficie algebriche (1949), testimonianze della sua complessa figura di intellettuale, che si misura con i grandi temi della scienza e della filosofia e vive da protagonista gli entusiasmi e le delusioni che attraversano la cultura italiana dei primi decenni del secolo.