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 2021  gennaio 03 Domenica calendario

Il grande mercato africano, via le tasse e i dazi doganali

Senza dare troppo nell’occhio, tra mille incognite vista l’epoca, l’Africa ha compiuto un passo storico. Da venerdì è entrato in vigore il trattato che abolisce gran parte dei dazi al commercio all’interno del continente più povero del pianeta. Si tratta nientemeno del più grande mercato unico al mondo, di cui la pandemia ha solo ritardato l’avvio (la data di partenza prevista era lo scorso 1° luglio). La sigla è ostica AfCFTA, acronimo di "Area di libero scambio continentale africano" e potenzialmente potrebbe rappresentare un cambio di passo per un’area tanto arretrata quanto strategica per il futuro del pianeta. Che convenga, sulla carta, lo dice il fatto che lo abbiano firmato praticamente tutte le nazioni del continente, con la sola eccezione dell’Eritrea. Qualcuno è venuto meno al momento della ratifica, al momento 34 Stati hanno dato il via libera, ma molti si aggiungeranno presto.
Il progetto è ambizioso, persino più nella premessa che negli obiettivi concreti. Sviluppare gli scambi commerciali tra Stati africani, infatti, vuol dire invertire una tendenza storica: avere rapporti più stretti con gli antichi imperi che con i Paesi vicini. Per le logiche post coloniali, insomma conviene esportare i prodotti in Europa piuttosto che a poche centinaia di chilometri. Le statistiche parlano chiaro: gli scambi intra-continentali oggi valgono soltanto il 15% del totale, contro il 67% dell’Europa e il 58% dell’Asia. Indipendenza dai Paesi ricchi vuol dire anche evitare di essere vittime, come in questi mesi, delle recessioni economiche altrui.
Le previsioni, nonostante il momento storico infelice, sono molto rosee e, almeno sulla carta, anche abbastanza immediate: secondo la Banca mondiale, grazie all’accordo, nel 2035 dieci milioni di persone saranno uscite dalla soglia di povertà. Ed è proprio questo il punto sul quale insiste il segretario generale dell’AfCFTA, Wamkele Mene: «Per il nostro continente oggi è un giorno storico - ha detto nel corso della cerimonia d’inaugurazione - questo accordo deve essere uno strumento di sviluppo, finalmente adottiamo misure per smantellare il modello economico coloniale ereditato e mantenuto negli ultimi 50 anni». Il mercato unico africano sarebbe anche un buon affare per investitori stranieri. Tanto che l’Ue ha finanziato il progetto e la Cina guarda con il solito prudente interesse.
Fin qui l’ottimismo, ma, vista anche la portata dell’accordo, dietro agli auspici si celano dubbi, ostilità, complicazioni e assenze, tipo quella della Nigeria, primo Paese del continente per ricchezza e popolazione, che per il momento non ha ratificato l’accordo, per paura di danneggiare il proprio settore manifatturiero. Gli ostacoli più grandi sono politici e burocratici. Togliere i dazi al 90% dei prodotti significa superare apparati doganali apparentemente insormontabili, lacci e lacciuoli fiscali stratificati nei decenni.
C’è un’altra grande questione che rallenta la realizzazione dell’AfCFTA: le infrastrutture. La grande maggioranza delle merci (circa l’80%), infatti, viaggia (su gomma) su strade spesso in cattive condizioni. Così, paradossalmente, l’integrazione africana potrebbe far aumentare le diseguaglianze tra Paesi con porti e autostrade sviluppati, come il Sudafrica o l’Egitto e quelli che fanno molta fatica a portare i propri prodotti anche all’interno degli stessi confini nazionali, come il Malawi o il Madagascar. Elementi che aggiungono diffidenza reciproca e che allontanano il sogno dall’obiettivo storico: «È un patto "win win" per tutti i Paesi», esulta il presidente del Niger, Mahamadou Issoufu. O meglio lo sarebbe.