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 2021  gennaio 03 Domenica calendario

San Patrignano oggi

Domani la macelleria chiude. Trent’anni fa alcuni addetti di questo reparto erano protagonisti dei pestaggi contro i tossici che non rispettavano le regole. Oggi il settore trasloca semplicemente in un altro fabbricato, nuovo e moderno. Tra le carcasse degli animali appese ai ganci e i ragazzi in mascherina che sfilettano pezzi di carne c’è Michele, 43 anni, di Bari. È il responsabile: «Vivo qui da otto anni e due mesi, ho scelto di restare. Facevo il giardiniere ma ho voluto imparare un mestiere nuovo. Per me è stata una benedizione». «Qua non ci sono catene», dicono i veterani della cittadella sulle colline di Rimini, comune di Coriano, «se vuoi andare via, vai via», giurano, e alle loro spalle c’è il mare della riviera che sembra di toccarlo. Perché qui «salviamo i ragazzi che hanno visto le pene dell’inferno» e la storia in streaming che in queste ore scorre davanti a milioni di occhi, grazie alla serie tv “SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano”, «non rispecchia la realtà di oggi».
La realtà la raccontano tra i vialetti della comunità di recupero per tossicodipendenti che ospita 1.200 ragazzi e ragazze: età media sui trent’anni, la gran parte rimasti sotto con l’eroina e la coca. Vivono in stanze da sei o in villette da due, che si raggiungono passeggiando per vialetti tranquilli e alberati. Le giornate sono scandite dalle ore e dalla disciplina: se picchi qualcuno sei fuori, niente sigarette, niente rapporti occasionali ma «percorsi di fidanzamento». Stanno qui in media tre anni e mezzo. Lavorano. Chi fa da mangiare, chi il falegname o il tappezziere, chi in lavanderia o in tessitura. Qui si producono il vino, la pizza, il formaggio, le borse, si gestisce un ristorante e un punto vendita che gioca con le parole: “SP.accio”. A mezzogiorno tutti a pranzo, la mensa si riempie, le pareti in vetro affacciano sul verde: pasta ricotta e zafferano, tris di legumi e stasera pizza. I tavoli sono organizzati per reparti, ognuno sa dove sedersi.
SanPa costa 25 milioni di euro l’anno. Oltre il 70% delle spese è coperto dalla vendita di prodotti. Il resto arriva da aiuti e donazioni. Non ultimo, lo storico contributo della famiglia Moratti. Da una dozzina d’anni Carlo Clavarino è il presidente della fondazione San Patrignano: «Il merito è di Gian Marco Moratti e di sua moglie Letizia. Migliaia di ragazzi, presi in condizioni pietose e drammatiche, sono usciti da qui. Viene insegnato loro un mestiere e il 93% esce con un lavoro, si rifà un’esistenza. Le grandi aziende fanno fare parte dei loro lavori a San Patrignano. Questo è il più grande centro al mondo dedicato ai tossicodipendenti, studiato da prestigiose università, che ha ricevuto Capi di Stato come Mattarella. Ho visto il documentario e dà uno spaccato della realtà destabilizzante, non rende merito a quello che è oggi».
Cos’è cambiato rispetto a ieri? Antonio Boschini, responsabile terapeutico di San Patrignano, racconta: «Una volta c’era una terapia che poteva andare bene per qualsiasi tipo di disturbo. Ora i soggetti con patologie psichiatriche sono controindicati per il percorso. I farmaci? Li usiamo nel 20% dei casi». Allarga gli occhi: «Ma quali catene! Furono scoperte nell’80, quando Muccioli venne arrestato. Tutti potevamo andarcene e nessuno lo fece».
Vincenzo Muccioli, il fondatore. Le sue foto incorniciate sono appese in alcuni reparti come quella dei Presidenti negli uffici pubblici. Lui non voleva lasciarli andare, i ragazzi. «Noi non li tratteniamo. Usiamo dei trucchetti per cercare di far superare crisi passeggere, cerchiamo di guadagnare tempo. Qui abbiamo minori di 16 e 17 anni, vengono da un passato di buchi e prostituzione e spesso abbiamo solo sei mesi o un anno per far vedere loro una vita pulita», prosegue Boschini. «Si deve star bene e non si deve voler scappare, questa è l’evoluzione. Io e tanti altri abbiamo fatto un percorso pulito, la violenza non era un metodo», aggiunge il presidente della comunità Alessandro Rodino Dal Pozzo, qui dall’85. Sofia Giuliucci c’è dalla fondazione: «I ragazzi chiedevano di essere salvati. In qualunque modo. Non nego nulla, quello che è avvenuto è servito a costruire».
È cambiata, la cittadella? Per Edoardo Polidori, responsabile SerT a Rimini per l’Ausl Romagna, «è cambiato tutto. Fa parte degli enti accreditati che tutti i mesi incontriamo, è inserita in un contesto di relazioni e rapporti». La cronaca nera è un pesante ricordo. Un episodio, a dicembre, è rimbalzato sui giornali: la morta di una donna di 54 anni, malata di Aids, forse soffocata da una fascia di contenimento che doveva proteggerla da una caduta. Per questo fatto Boschini ha ricevuto un avviso di garanzia.