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 2021  gennaio 02 Sabato calendario

In morte di Domenico Agasso

L’ultimo furto di talento il 2020 l’ha perpetrato la notte del 31 dicembre, portandosi via un grandissimo giornalista, Domenico Agasso, 43 giorni prima che compisse 100 anni. Nato nel 1921 a Carmagnola (Torino), aveva debuttato a 30 anni al quotidiano torinese Il popolo nuovo. Nel 1960 era passato a Epoca, per cui fra l’altro aveva seguito i viaggi di papa Paolo VI in giro per il mondo, lavorando con mostri sacri come Augusto Guerriero detto “Ricciardetto”. Caporedattore di Famiglia Cristiana nel ’78, era poi tornato in Mondadori per dirigere Epoca e in seguito Espansione. Per la Mondadori aveva pubblicato una strepitosa Storia d’Italia in otto volumi, che univa il rigore scientifico al gusto aneddotico e divulgativo. In pensione dai primi anni 80, aveva accettato di dirigere un piccolo ma glorioso settimanale torinese di ispirazione cattolica, Il nostro tempo. Lì lo conobbi nel 1984, subito dopo la maturità classica, chiamato dalla vicedirettrice Mariapia Bonanate. Tutto quello che ho imparato lo devo a lui, uomo all’apparenza burbero e scorbutico, ma che appena riuscivi a entrargli un po’ dentro diventava ironico, spiritoso e soprattutto dotato di un talento mostruoso, pari soltanto alla riservatezza. Era un direttore nato, un artigiano che amava costruirsi il giornale con le sue mani: faceva o controllava tutti i titoli, “passava” tutti gli articoli, correggendoli o riscrivendoli dopo aver lanciato per aria gli originali con epici urlacci contro le “penne proibite” che li avevano scritti (“ma mi faccia il piacere!”, era il suo intercalare di grande amante di Totò). I suoi articoli erano brevissimi, fulminanti e mai firmati: “D.A.” bastava e avanzava. Oltre alla storia d’Italia, ha scritto una trentina di libri di argomento religioso. Ma sognava altro: “Continuano a chiedermi biografie di santi, ma io vorrei raccontare qualche bel mascalzone, che è molto più divertente”. Il suo sogno era la vita del maresciallo Radetzky, il terrore dei nostri patrioti risorgimentali che si sdilinquiva per gli gnocchi della sua amante milanese Giuditta. Peccato che, in cent’anni, non l’abbia mai scritta.