La Stampa, 2 gennaio 2021
Intervista a Ilaria Spada
L’augurio rivolto a sé stessa, all’alba del 2021, è di «non dimenticare le cose che mi sono rimaste attaccate agli occhi, quelle che ho finalmente capito, quelle che vengono prima». Alle soglie dei 40 anni, madre di due figli, moglie di Kim Rossi Stuart, ex-ballerina, attrice di commedie, Ilaria Spada, durante la pandemia, dice di essersi sentita «più vicina al senso di tutto. Giriamo come criceti sulla ruota, senza chiederci mai dove stiamo andando, perdendo di vista le cose che contano sul serio. Il virus è stato un po’ come una livella, ci ha messo tutti nella stessa condizione psicologica, ha ridimensionato certi deliri di onnipotenza. Ci ha costretti a fermarci, a farci domande». Un’attività che lei pratica da un bel po’ e che ora sente più in linea con la propria immagine: «In Italia c’è la tendenza a catalogare in stereotipi, ho attraversato una fase, molto divertente, in cui sono stata considerata una ragazzotta ruspante in piena forma fisica, mi affidavano solo parti di belloccia con risvolti brillanti. Ora è diverso, sono una donna, e questa donna mi piace tantissimo».
In che cosa sente di essere cambiata?
«È mutata la mia disponibilità ad andare in fondo, prima mi costava, sono stata un’adolescente sensibile e, nel nostro lavoro, che è come una continua terapia, andare in profondità mi pesava. Ho buttato un sacco di tempo a proiettare le mie paure sul futuro, adesso ho capito che non avevano nessun fondamento e, anche nel mio mestiere, mi si è aperto un ventaglio di possibilità».
Quanto ha influito la maternità su tutto questo?
«I figli ti obbligano a gettare tutte le maschere, per me sono il dono più grande della vita. Mi sono sentita sempre molto figlia e pensavo che la mia famiglia sarebbe rimasta quella di provenienza, invece è cambiato tutto».
È complicato essere la moglie di un attore famoso?
«No, non credo proprio, penso sia molto più difficile avere un marito medico. Il nostro è un mestiere fortunato, ci lascia molto tempo, anche per organizzarci».
Ha due film in uscita, «Notti in bianco e baci a colazione» di Francesco Mandelli e «Una famiglia mostruosa» di Volfango De Biasi, che ruoli interpreta?
«In tutti e due sono una mamma, e mi è piaciuto molto esserlo, ho potuto pescare nella mia esperienza personale. Sono due donne diverse, nella Famiglia mostruosa do’ il peggio, sono una madre che deve lavorare molto su se stessa, in Notti in bianco e baci a colazione mostro, invece, la volontà di mettermi in discussione e raggiungere un equilibrio».
Aveva iniziato come ballerina, poi ha mutato direzione, come è andata?
«L’ho fatto per due anni, poi ho deciso di smettere, stavo costruendo un’immagine di me che non mi corrispondeva, in qualche modo facevo finta, e quest’abitudine rischiava di condizionarmi, in tante cose. Per esempio, se fai la ballerina ti devi vestire in un certo modo, me lo ripetevano tutti e a me pesava un bel po’, inizi a convincerti che ci sia un modello vincente, ammiccante, a cui bisogna omologarsi per forza, a cui appoggiarsi per acquistare sicurezza. E invece non è così, ricorderò sempre il consiglio che mi diede una delle sorelle Fontana, "copriti, se vuoi essere sensuale, copriti"».
Lei che tipo di ragazza era?
«Ero poco civetta, un po’ maschiaccio, mi sentivo super-donna, ma mi piaceva vestirmi con la canotta, i pantaloni combat, le Birkenstock. Stavo bene così e devo dire che riscuotevo anche un discreto successo, poi, quando ho cominciato a ballare, mi è stato chiesto di rivedere tutto il mio abbigliamento e così mi sono sentita come se avessi una doppia vita. Quando tornavo a Latina nel fine settimana indossavo quello che volevo, a Milano dovevo vestirmi come le altre».
Che cosa le hanno detto i suoi genitori quando ha iniziato ad apparire in tv?
«I loro amici erano tutti medici o avvocati, con figli che facevano i loro stessi mestieri, quindi la prima reazione è stata di grande imbarazzo e anche io avvertivo un certo disagio. Un disagio benedetto, che avrei dovuto ascoltare subito, e invece io ci ho messo un po’, ho fatto fatica a far capire che volevo andare in una direzione differente».
Pensa che in questi ultimi anni, grazie al «Metoo» e ad altri movimenti, sia cambiato davvero qualcosa per le donne, nel mondo dello spettacolo?
«Sì, qualcosa è cambiato, sicuramente qualcuno starà più attento a certi comportamenti, ma non mi è mai piaciuto lo stile del mostro in prima pagina, la condanna mediatica può essere ferocissima. Il femminismo è stato importante, ci sono state donne audaci, coraggiose, che hanno fatto cose fondamentali, ma anche altre che hanno contribuito a veicolare visioni deformate, creando strascichi un po’ paradossali».
Per esempio?
«Parlo di deformazioni come quella secondo cui le donne dovrebbero combattere gli uomini adottando i loro stessi modi di agire. Non mi ritrovo in certi slogan come "il corpo è mio e lo gestisco io", penso che il corpo vada custodito e non mandato in giro. E poi sarebbe bello se, nelle stanze del potere, le donne portassero le loro specifiche risorse, la loro capacità di essere accudenti, accoglienti».
Lei è religiosa?
«Sì, nella mia vita la fede è una cosa importante, ma sono convinta che ognuno di noi abbia una componente spirituale, che Dio abbia riposto in tutti noi un seme, poi c’è chi decide di cercarlo e chi no. A me è successo da grande, quando ho iniziato a sentire che non trovavo un mio posto, allora quella ricerca si è rivelata una grande risorsa».
Da vari anni, oltre a recitare, è anche molto impegnata nel carcere di Rebibbia, in attività di spettacolo dedicate ai detenuti, in un corso di sceneggiatura intitolato «Tra le righe». Che cosa significa per lei questa esperienza?
«Abbiamo creato un’associazione e abbiamo iniziato a lavorare nella sezione maschile, portando il cinema dietro le sbarre, proiettando film e poi invitando registi e interpreti. Ho provato una commozione inimmaginabile, incontrando quelle persone mi sono sentita libera da qualunque forma di giudizio e pregiudizio, e non ho mai percepito, nemmeno per un attimo, uno sguardo malizioso. L’unica cosa che ho ricevuto è stato un grande grazie, solo perché andiamo lì e chiediamo la loro opinione. Ho sentito quanto siano necessari lo scambio, l’amore, il bisogno di abbracciare. È una cosa che facciamo da cinque anni, spero proprio che vada avanti».