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 2021  gennaio 02 Sabato calendario

Così Sciascia pranzò con Borges

Leonardo Sciascia conobbe Jorge Luis Borges nel 1980, a Roma. Pranzarono al ristorante dell’hotel Excelsior. L’autore siciliano, il 25 giugno, era nella capitale su invito del comitato per erigere un monumento al suo «adorato Stendhal», nei pressi dell’Ara Pacis. Non se ne fece poi nulla, ma – appreso nel frattempo di un soggiorno romano dello scrittore argentino – smosse monti e mari per incontrarlo.
A pranzo parlarono di Dante. Borges stava preparando la raccolta dei saggi sul poeta e Sciascia ne era curiosissimo. Il suo commensale gli confidò che, da giovane, aveva letto per la prima volta La Divina Commedia a bordo dei mezzi pubblici di Buenos Aires, con testo italiano a fronte. Giunto al Paradiso, aveva preso a comprenderla anche in italiano. Allo stesso modo i due, durante il pranzo, non dovettero usare l’interprete. Si intendevano benissimo.
Lo scrittore di Racalmuto aveva in libreria 224 volumi di o su Stendhal, in francese, italiano e altre lingue. Lo chiamava «lo scaffale stendhaliano». Lo considerava una mappa per viaggiare nella letteratura. Da un lato lo portava dentro il passato a lui più caro ( Montaigne, Pascal, gli illuministi, Cervantes), dall’altro ai contemporanei che amava ( Borges su tutti, Calvino, Pasolini, Ceronetti, Malraux, Simenon). Una “isola del tesoro” sempre pronta ad evocargli legami di affinità elettiva ( come quelli con Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo), amorevoli rapporti agrodolci ( Moravia, Eco, lo stesso Calvino), persino brusche rotture ( con il pittore Guttuso).
Al fondo c’era un sogno, che Sciascia definiva così: «Ci vediamo da Alberto Savinio alle cinque». La casa di quest’altro grande stendhaliano, a Milano, tra i quadri suoi e quelli del fratello Giorgio De Chirico, era per lui un simbolo: rappresentava il salotto mitico di una infinita e ininterrotta “conversazione”, che restava per Sciascia il fine supremo. Borges, ai suoi occhi, aveva rinnovato quel mito: l’eterna conversazione poteva dare scacco anche alla morte. Borges era una forma della sua felicità.
Fu transitando per la palermitana via Siracusa, recandosi nella vicina sede della Sellerio, con la quale Sciascia collaborò per vent’anni, che lo sognò per la prima volta. C’erano in questa via le vetrine della elegante libreria Novecento di Domitilla Alessi, realizzata su progetto dell’architetto Umberto Di Cristina ( la coppia porterà Borges a Palermo nel 1985). La libreria aveva una caratteristica: esponeva solo le raffinatissime edizioni limitate dell’editore di Parma Franco Maria Ricci ( testi esclusivi di Calvino, Barthes, Zavattini, Eco, Cortazar), l’uomo che aveva convinto Borges – passeggiando nel suo giardino – a dirigere la collana italiana di letture fantastiche La biblioteca di Babele ( oggi oggetto di culto per bibliofili), introducendo di suo pugno ogni volume. Sciascia si fermava ad ammirarle. Poi la proprietaria si accorgeva della sua presenza e faceva per andargli incontro. Sciascia se ne avvedeva e si allontanava in fretta.
Pudori d’autore. Ma intanto Sciascia maturò così l’idea “fantastica” di traghettare – per decisione testamentaria – la sua opera completa in Adelphi, l’editore italiano di Borges.Ma cosa aveva trovato Sciascia in Borges? Nella prefazione agli scritti dispersi di Alberto Savinio, da lui raccolti, e usciti nel 1989, anno della sua morte, Sciascia lascerà un manifesto- testamento ( come furono le Lezioni americane per Calvino). Anche qui accosterà Savinio a Borges, affermando che le pagine più fantastiche dei due autori sono in realtà “conversazioni”: «Lungo dovrebbe essere il discorso per arrivare all’origine di un tal conversare, alla sua sorgente sempre viva e vivificante: l’antica Grecia, l’antico mondo greco. La cui presenza... s’intravede costante nel discorrere di Borges, nel discorrere di Savinio, nel loro conversare... e dopo più di due millenni».
La vita di Sciascia è zeppa di coincidenze letterarie. A Caltanissetta frequentava la stessa scuola dove insegnava Vitaliano Brancati. Leggendolo sulla rivista Omnibus di Leo Longanesi decise di diventare scrittore. Morirà nell’ 89, l’anno della caduta del muro di Berlino, il giorno stesso in cui uscironoUna storia semplice per Adelphi e A futura memoria per Bompiani. E muore in contemporanea a Georges Simenon, il padre del commissario Maigret, che gli aveva ispirato la svolta giallista. Insieme ad André Malraux, che gli spiegò come Faulkner aveva realizzato «l’intrusione della tragedia greca nel romanzo poliziesco». E a Sciascia verrà l’idea di intrufolare Pirandello nel noir italiano.
Rimarrà tanto devoto allo scrittore francese da visitare i luoghi della guerra civile spagnola descritti ne La speranza. In uno di questi, Alcalà de Henares, era nato Cervantes. La Spagna, e Parigi, diverranno per lui luoghi dello spirito.
Sciascia nacque nel 1921, l’anno dopo nacque Pasolini, due anni dopo Calvino, quasi a conferma dei “destini incrociati”. Sarà Pasolini, e non Calvino, ad accorgersi per primo del maestro di Racalmuto. Nel 1950 recensisce il primo libretto Favole della dittatura: «Questa lingua così ferma e tersa», scriverà. Si incontreranno l’ultima volta un anno prima dell’omicidio di Ostia, all’hotel Jolly di Palermo, dove Pasolini era sbarcato alla ricerca di comparse per il film Il fiore delle Mille e una notte. Sciascia confesserà di essere rimasto straziato dalla visione della scandalosa pellicola pasolinianaS alò ( «chiudevo gli occhi» ) ma poi dedicherà all’amico il commovente incipit de L’affaire Moro sul ritorno delle lucciole.Calvino e Moravia, a volte, lo punzecchiavano sulla Sicilia. L’autore de Gli indifferenti gli diceva: «I milanesi semplificano tutto, i siciliani lo complicano». Quasi a conferma, Sciascia dedicò nel 1985 un capitolo di Cronachette ancora a Borges. Vi si ipotizza che l’argentino possa essere un’invenzione del suo sodale letterario Casares oppure un attore pagato per recitarne il personaggio. «Di nulla sono certo, neppure della mia incertezza» aveva annotato una volta: era questo uno dei pilastri della fantastica “civiltà della conversazione”.