Robinson, 2 gennaio 2021
Idee per un gangster-movie di Leonardo Sciascia
«Questo non è un racconto». «L’incipit è di Diderot». «Lo so. Volevo dire: questo non è un racconto, ma un soggetto per un film». «Ah, un soggetto». «A pensarci bene, non è nemmeno un soggetto». «E che cosa è, dunque?». «Una discussione su un soggetto. E la faremo noi». «Un soggetto di chi?». «Di Sergio Leone». «Avanti, raccontate».
«Per la verità, non è proprio un soggetto. È una idea, sono immagini...». «Naturalmente: immagini». «Ne ha raccolte moltissime, di immagini: un repertorio fotografico molto suggestivo; e molto crepuscolare nonostante i morti ammazzati, la violenza...». «I morti ammazzati?». «Sì, certo. Volete che manchino i morti ammazzati, in un film di Leone?». «In qualsiasi film, oggi: nudi e morti ammazzati». «Appunto. Ma Leone fa a meno dei nudi, credo».
«Sentiamo questa idea, dunque». «Stati Uniti 1925. Proibizionismo. Gangsterismo». «Un film storico». «In un certo senso. Nel film dovrebbero esserci continui scarti tra memoria e attualità, tra il 1925 e oggi». «L’evoluzione o involuzione del gangsterismo: capisco». «Non soltanto questo. Il film avrà un eroe». «Positivo, naturalmente». «Sì, un eroe positivo». «Allora: un gangster eroe positivo...». «Appunto: un vecchio gangster che ha smesso di uccidere da parecchi anni...». «E che torna ad uccidere, ma positivamente... Direi, però, che deve essere molto vecchio se nel 1925...». «Giusta osservazione: non ci avevo pensato».
«Davvero?». «Sì, non ci avevo pensato. Vediamo un po’... Diamogli vent’anni nel ’25; e siamo al ’72... Settantadue meno venticinque quarantasette, quarantasette più venti sessantasette. Sessantasette anni: non molto vecchio». «Direi che come gangster, per tornare in efficienza, ora è molto vecchio. E tenete presente che gli avete dato vent’anni nel ’ 25. Troppo giovane, doveva averne qualcuno di più». «Non sottilizziamo». «Va bene, non sottilizziamo. Ma avete detto che questa era una discussione sul soggetto...». «Giusto. Ma non è inverosimile che a vent’anni, o a diciannove, o a diciotto si possa essere stati gregari di una banda». «Ve lo concedo. E dunque non è un capo». «No, un gregario. Ma non degli ultimi».
«Ma si è ritirato a vent’anni dalla nobile professione?». «No, dopo. E comunque questo deve rimanere nel vago». «Va bene. E perché si ritira?». «Questo non lo sappiamo ancora». «Bisogna saperlo». «D’accordo: siamo qui per questo... Ecco: diciamo che si è ammalato». «Di che?». «Di una malattia grave». «E se la porta per quarantasette anni?». «Avete ragione, non può essere». «E se avesse finto di essere ammalato?». «Perché?». «Perché è stufo di ammazzare. Perché ha fatto dei soldi e vuole goderseli. Perché si è innamorato di una donna buona e semplice. Perché gli è morta la mamma: non meno buona, non meno semplice. Perché...». «Leone si sarebbe dovuto rivolgere a voi, non a me». «Siamo ancora in tempo... Non che voglia soffiarvi l’incarico, per carità! Potete essere voi a rivolgervi a me». «È quello che sto facendo». «Con tutti gli effetti, voglio sperare... Bene: andiamo avanti».
«Andiamo avanti... Si finge ammalato, dunque. E che malattia si sceglie?». «La tbc o il cancro». «Fatemici pensare: nel 1925 siamo a cavallo tra tbc e cancro. La tbc sta per tramontare, il cancro per affermarsi». «Voi giudicate dall’Italia. Gli Stati Uniti erano più avanti: il cancro vi si era già affermato». «Esatto. Ma direi che la tbc ha un suo fascino». «E se fosse stato veramente ammalato di tbc?». «Voi rimettete tutto in giuoco. Ma diciamo che è veramente ammalato di tbc. Va in sanatorio, guarisce. E non riprende la sua attività di gangster». «Perché?». «Non è necessario domandarselo: ma mettiamo che si è lasciato prendere dall’amore alla contemplazione, alla solitudine». «Un po’ falso, non vi pare?». «Diciamo allora che si è dato alla riflessione». «Su un fatto, su qualcosa che è accaduto prima che entrasse in sanatorio. Qualcosa che l’ha colpito...». «Benissimo. E che cosa può aver colpito uno come il nostro giovane eroe?». «Un fatto in cui entra l’amicizia o l’amore». «L’amicizia. Meglio l’amicizia. Un’amicizia in cui c’è anche amore: ambiguamente, come ora si usa... Il suo più caro amico è stato ucciso in conflitto con altri gangsters. O preferite con la polizia?». «E se facessimo con gangsters travestiti da poliziotti?». «Roba vecchia: San Valentino eccetera».
«No, la cosa non deve essere così chiara. Il nostro giovane eroe, insieme ad altri giovani eroi, fa una rapina in una banca, in una casa di giuoco, in un grande magazzino... Il malloppo è forte. Lo nascondono in una casa di periferia, a turno vi montano guardia. Un giorno, mentre è di guardia l’amico del nostro eroe, arriva la polizia. Sparatoria. Morte dell’amico. Prelevamento del malloppo. Il nostro, che sta per rincasare, vede tutto: da lontano. Piange a calde lacrime. Va a cercare conforto da un amico: giovane avvocato cresciuto nella stessa little Italy, little Sicily, in cui lui e il suo amico ora morto sono cresciuti. L’avvocato sa tutto di loro: rapina, malloppo, nascondiglio. Di loro e di altri. È al centro di una losca rete. Non come un capo, ma appunto come losco avvocato. Consiglia. Conforta. E ha delle percentuali». «Andate avanti, anche se so quello che tirerete fuori». «Poiché sui giornali si legge che la polizia, in quel nascondiglio, ha rinvenuto soltanto un morto, e ammazzato non si sa come e da chi, l’avvocato convince il nostro eroe e compagni che i poliziotti hanno fatto il colpo, hanno rubato e si sono spartito tra loro quel che i giovani gangsters avevano rubato e non si erano ancora spartito. Dopo avere ucciso la sentinella. E ora tiravano fuori questa versione, a nascondere omicidio e trafugazione del malloppo. Capitava, capita». «E invece era stato l’avvocato, a fare il colpo». «Esatto. Ma questa rivelazione al nostro eroe viene in sanatorio: improvvisamente, guardando la cronaca fotografica di un avvenimento mondano in cui il suo amico avvocato fa bella figura. Non la certezza, si capisce: ma il lampo di un sospetto, poi articolato nella riflessione. Chi sapeva che erano stati loro a fare quel colpo? (Era il primo colpo grosso che facevano). Chi sapeva dove avevano nascosto quel mucchio di soldi?».
«Pensandoci, riflettendo ( cioè rivedendo tutto, poiché siamo al cinema), arriva alla certezza, o quasi. Naturalmente, disegna una vendetta». «Naturalmente. Ma non ne fa niente. Una volta uscito dal sanatorio, si ritira in campagna. Sempre con quel rovello nascosto, si capisce». «Niente donne?». «Occasionali. Occasionalmente». «E come vive?». «Aveva un po’ di soldi: si è comprato un podere, l’ha migliorato». «Campagna toscana. O emiliana. E di trent’anni fa per giunta». «Non ho dimenticato che siamo in America. Ma studieremo che cosa poteva coltivare, in un piccolo podere, uno che si fosse dato all’agricoltura negli anni trenta. E poi, si può lasciare nel vago. In campagna ci vive: e basta». «D’accordo. Il piccolo podere, la piccola ma adatta a lui (come diceva l’Ariosto) casa rurale... Ed è lì che vanno a trovarlo i suoi compagni di un tempo?». «Come avete fatto a indovinare?». «A indovinare che?». «Che Sergio Leone ha pensato appunto a questo: che gli amici di un tempo vanno a ripescarlo lì». «È ovvio, no?». «Già... E allora tutto comincia così: un tale che si presenta davanti alla cascina del nostro eroe».
(Published by arrangement with The Italian Literary Agency / © 2021 Adelphi Edizioni S.P.A. Milano)