Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  gennaio 02 Sabato calendario

Così Al Sisi tiene in pugno l’Egitto

Alle sette di sera del sabato prima di Natale il cortile della chiesa di San Giuseppe è pieno di auto. Nel centro del Cairo, proprio di lato al superbo edificio classicheggiante di Banca Misr, San Giuseppe è un simbolo dei cristiani cattolici d’Egitto. Molte auto blindate, molte scorte armate, e tutto intorno la presenza della polizia e degli uomini della National Security Agency.
In chiesa ci sono il nunzio vaticano, il francese monsignor Nicolas Thevenin; il vescovo di Alessandria, l’italiano Claudio Lunati. Ambasciatori, direttori di scuole e di ospedali, medici, avvocati e professionisti, europei e egiziani cattolici. Ospite d’onore, rappresentante del sistema egiziano, è Mohammed Shery Fahmi: il vice procuratore anti-terrorismo è quello che ha fatto le inchieste contro la Fratellanza Musulmana condannata per aver messo bombe alle chiese cristiane. Centinaia di “fratelli” sono in carcere, molti condannati a morte.
I cristiani in Egitto sono 12 milioni sui 100 milioni di egiziani: non una minoranza ma una parte importante della società. Il regime di Abdel Fattah al-Sisi viene accettato dai cristiani perché li protegge, nonostante la violenza delle misure repressive.
Dal colpo di Stato del 2013 sono tornati i militari, il sistema si è riorganizzato. Sisi non ha rimesso semplicemente in piedi la struttura, il “meccanismo” degli anni di Mubarak: l’ha modificata e adattata al suo stile di comando. Innanzitutto, ha ricostruito la National Security Agency: sono i servizi di polizia e intelligence interna, accusati dalla procura di Roma dell’omicidio di Giulio Regeni. Immediatamente dopo la rivoluzione dal 2011 il predecessore della Nsa, il vecchio State Security Investigation Service, era stato sciolto. Per i giovani di piazza Tahrir era la gestapo del regime Mubarak. Responsabile di torture e uccisioni a migliaia. Ma immediatamente dopo il golpe del luglio 2013, il generale Sisi mise in carcere il presidente Morsi e rimise in piedi la polizia segreta. Fece rinascere il Sis, ribattezzandolo Nsa. Sisi ha riassunto nel servizio centinaia di agenti e ufficiali licenziati dai Fratelli Musulmani: ma li ha selezionati fra quelli legati a lui, non a Mubarak.
L’altro grande servizio di sicurezza egiziano, il General Intelligence Service (o Directorate), è l’erede del servizio esterno dell’Egitto. Un apparato molto solido, capace di infiltrare agenti in Israele per anni (vedi guerra dello Yom Kippur), in grado di gestire oggi con abilità i rapporti fra lo stesso Israele e gruppi militanti/ terroristi agguerriti come Hamas e la Jihad Islamica.
Il capo del Gis è un generale che come Sisi era nella Military Intelligence, che è poi il terzo pilastro del sistema di intelligence egiziano. Il generale Abbas Kamal è soprannominato l’"ombra di Sisi”, oppure “la cassaforte dei suoi segreti”. L’uomo ha una intelligenza affilata, una grande capacità di lavoro: è talmente efficace e cruciale per Sisi da gestire per lui la partita israelo-palestinese. Kamal è anche l’uomo che dirige il rapporto con i capi della Libia, che gestisce Khalifa Haftar e negozia col ministro dell’Interno libico Fathi Bashaga, accusato di essere troppo vicino alla Fratellanza Musulmana e soprattutto alla Turchia.
Il terzo pilastro, la Military Intelligence, è guidato dal generale Khaled Megawer, un ufficiale fidato, che Sisi ha incrociato quando lui stesso era capo della Mi. Apparentemente meno centrale, la Mi è invece decisiva, anche nei giochi politici interni dell’Egitto. Innanzitutto la Mi è essenziale per controllare le stesse forze armate. In Egitto ci sono 4 forze armate, Esercito, Marina, Aeronautica e Forze di difesa aerea (struttura eredità del periodo sovietico).
Ma qui facciamo un primo salto per capire quanto sia differente l’Egitto anche da altri regimi autoritari: tutte le agenzie di intelligence fanno politica, in pieno. Nel senso che concretamente fanno campagna elettorale, hanno loro candidati e poi deputati in Parlamento. Hanno televisioni, siti internet, hanno giornalisti amici, presenza territoriale che porta voti alle elezioni (per quanto pilotate possano essere le votazioni).
Naturalmente partecipano alle operazioni politico/securitarie del presidente: nel 2013, da ministro della Difesa del presidente islamista Morsi, Sisi si rivolse alla Military Intelligence per organizzare le proteste di piazza che portarono poi al suo colpo di Stato. Nelle elezioni presidenziali del 2018 e nel referendum costituzionale del 2019 i tre servizi sono scesi direttamente in campo per fare campagna elettorale per il sistema. E quando prima delle presidenziali del 2018 qualcuno pensava di potersi candidare contro Sisi, i servizi militari agirono rapidamente. Il primo a essere colpito fu il generale Sami Annan, che pure era stato Capo di Stato maggiore dal 2005 al 2012, quindi un superiore di Sisi. Fu sbattuto in carcere, picchiato e minacciato. Si ritirò dalla corsa contro Sisi. E convinsero a ritirarsi anche Ahmed Shafik, ex capo dell’Aeronautica e ultimo premier di Mubarak.
Nell’evoluzione dello “stato profondo” egiziano dal sistema Mubarak a quello di Sisi, i tre servizi hanno allargato inoltre tutte le loro capacità economiche per avere strumenti di competizione gli uni contro gli altri. La Mi ha creato il Falcon Group diretto dall’ex generale Sharif Khalid: il gruppo ha firmato contratti con la Civil Aviation Authority per garantire la sicurezza negli aeroporti più importanti del Paese. La Mi ha poi creato un altro gruppo, il Tawasul for Public Relations. Il gruppo ha conquistato una televisione, Hayat Television, ha comprato giornali, ha rastrellato siti internet, sottraendo spazi a quel po’ di stampa indipendente che era rimasta.
Anche il Gis, il servizio esterno di Abbas Kamal, ha creato i suoi strumenti: con la Eagle Capital e con l’Egyptian Media Group, il servizio controlla 16 giornali e siti internet, e anche la ON Tv, una delle migliori del Paese. Ma soprattutto è riuscito a conquistare le aziende che gestiscono il 70% del traffico internet del Paese, la chiave per chiudere la Rete è quindi a portata di mano.
Chi è in grado di incarcerare gli egiziani paga anche i giornali che dicono loro cosa pensare e come votare. Ed è in lotta anche durissima con gli altri signori del potere egiziano. Questo è un carattere essenziale dell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi: è il Grande Gioco, una competizione incessante tra servizi di sicurezza che sono diventati anche partiti politici ed entità economiche. Il meccanismo funziona a modo loro: tengono in piedi il sistema, ma lottano per controllarne il percorso.