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 2020  dicembre 31 Giovedì calendario

Il bilancio del 2020 delle Borse

Il 2020 che nessuno mai si sarebbe aspettato non poteva certo risparmiare il mondo delle Borse. A conti fatti però, le sorprese che si sono viste sui listini azionari possono considerarsi positive a livello globale. Fra gli esperti di mercato circolava 12 mesi fa un moderato ottimismo, alimentato dal rinnovato atteggiamento espansivo delle Banche centrali e mitigato dai dubbi sul motore della crescita che già iniziava a battere in testa. Pochi probabilmente si attendevano tuttavia un rialzo a due cifre su scala mondiale come recita l’indice Msci World (+11,5%), nessuno di sicuro ci avrebbe scommesso quando a marzo la prima ondata del contagio Covid si è abbattuta sui listini con violenza mai vista.
La pandemia ha in effetti segnato anche l’anno dei listini, prima nel male e poi nel bene, quando gli oltre 9mila miliardi di dollari di liquidità riversati sul mercato da Federal Reserve, Bce, Banca del Giappone e soci (e le misure di sostegno senza precedenti dei Governi) per alleviare le conseguenze economiche del virus hanno finito per innescare il rally forse più spettacolare della storia. E per alimentare addirittura il sospetto di una gigantesca bolla finanziaria: in Borsa e soprattutto nel mondo obbligazionario, dove i titoli con tasso negativo valgono ormai 18mila miliardi di dollari e perfino il rendimento del BTp decennale è crollato ai minimi storici chiudendo l’anno allo 0,52% e a distanza di 108 punti base dal Bund. 
Luci (e ombre) sul bilancio finale
I numeri, favorevoli nel complesso, nascondono però un quadro tutt’altro che omogeneo fra le diverse aree e i settori. Sul versante geografico la spinta indiscussa è arrivata da Wall Street, capace di macinare record negli ultimi mesi dell’anno, non soltanto quando si guarda al Nasdaq (+44% nel 2020) lanciato in orbita dai tecnologici superstar ma anche con riferimento all’intero azionario Usa sintetizzato dall’indice S&P 500 (+16%). 
Al traino di New York si sono mosse l’Asia (+13,3%) e le Borse dei Paesi Emergenti (+14,6%), compresa quella Shanghai che ha terminato con un bilancio positivo del 12%, nonostante la Cina sia stata l’epicentro iniziale della crisi pandemica. All’appello è mancata invece almeno per il momento l’Europa, come ricorda il -3,7% dell’indice generale Stoxx 600. Colpito duro prima dall’emergenza sanitaria, poi dalle sue conseguenze economiche, il Vecchio Continente ha forse mostrato capacità di reazione più lente, ma va anche detto che la composizione dei suoi listini non ha in generale aiutato le performance azionarie. 
Non esistono in effetti in Europa le società delle «meraviglie» – le Amazon, le Apple, le Google o simili per la cui definizione si continuano a coniare nuovi acronimi – che hanno messo le ali a tutta Wall Street. Non si trova una Tesla, capace di moltiplicare quasi otto volte i prezzi di Borsa in 12 mesi, e di capitalizzare più di ogni altra casa automobilistica al mondo, e neppure una Softbank, in grado di «resuscitare» il Nikkei (+16% ) e di riportare Tokyo ai livelli di 30 anni fa. Anche per questo, con la pur ragguardevole eccezione di Francoforte che in extremis ha toccato nuovi record e viaggia a +3,5% sul 2019, i listini europei chiudono l’anno in perdita: chi più (Madrid -14,6% e la Londra della Brexit a -13,1%) e chi meno (Parigi -6,3%). Si è dovuta attendere la rotazione settoriale dai titoli growth (lo stile di investimento che identifica società con alte prospettive di crescita nel breve) ai fino ad allora sacrificati value (dai fondamentali solidi, ma sottovalutati) per rivedere uno spiraglio di luce.
La difesa di Piazza Affari 
La speranza prima, e l’attesa poi del vaccino ha rivelato anche le doti di recupero di Piazza Affari, che alla fine è riuscita a limitare i danni al 5,4 per cento: non è poco, se si pensa che nel bel mezzo della tempesta il Ftse Mib zavorrato da banche e società legate all’energia (due dei settori più colpiti dalla pandemia) aveva perso nel giro di poche settimane oltre il 40% del proprio valore. A fine anno la capitalizzazione complessiva delle società quotate alla Borsa italiana si attesta a 607 miliardi di euro, il 37% del Pil nazionale. Apple, per fare un confronto amaro, vale da sola tre volte tanto.
Va detto che anche all’interno del listino milanese si è potuto assistere a lodevoli eccezioni. Senza volersi soffermare su singoli titoli basta per esempio ricordare come le Pmi ospitate nel segmento Star – capaci in generale di attirare maggior attenzione da parte degli investitori esteri – abbiano in media registrato addirittura una crescita a doppia cifra (13,7%) portando l’indice Ftse Italia Star ai massimi storici. A dimostrazione che i «fenomeni» esistono in fondo anche a casa nostra, anche se hanno una dimensione più ridotta che altrove. 
Una certa vitalità a Piazza Affari non la si può comunque negare: gli scambi azionari sono risultati in crescita, con una media giornaliera di 2,4 miliardi di euro (+9,6% rispetto al 2019) e con oltre 346mila contratti giornalieri (+35,8%). Nel complesso sono stati scambiati oltre 87 milioni di contratti e un controvalore di oltre 602 miliardi, con un picco raggiunto il 12 marzo proprio nel mezzo della bufera Covid quando si è registrato il record storico di 935.909 contratti e il controvalore ha superato i 6 miliardi. 
Dopo l’inevitabile gelata che si è registrata nei mesi di primavera, il mercato si è di nuovo poco a poco riaperto agli ingressi e alla fine la raccolta complessiva è stata pari a 706 milioni, con 22 Ipo e 13 operazioni di aumento di capitale in opzione con valore superiore al miliardo di euro. Ben 12 le Opa, per un controvalore di 1 miliardo, al quale va aggiunto il valore delle operazioni in sospeso (Ima, Nova Re e Techedge che si concluderanno a gennaio) e soprattutto l’operazione (di scambio con conguaglio) attraverso cui Intesa Sanpaolo ha conquistato Ubi Banca. Qualcosa pur si muove, anche alla «periferia» del globo.