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 2020  dicembre 30 Mercoledì calendario

Cambiare partito ritoccando il passato

«Sono da sempre un federalista moderato di centrodestra, quindi ritengo sia la mia collocazione naturale», ha detto ieri l’altro Roberto Cota spiegando la sua adesione a Forza Italia. Che non lo faccia per opportunismo e per «saltar sul carro del vincitore» e più che probabile: sul futuro di quello che per un quarto di secolo è stato il partito di riferimento del centrodestra non abbonda l’ottimismo. Sul fatto che sia sempre stato un «federalista moderato», invece, qualche piccolo dubbio c’è. Colpa degli archivi, che traboccano di attestazioni di fedeltà al Senatur (una per tutte: «Tutto ciò che Bossi ha detto e gli scenari che ha tracciato si sono rivelati sempre lucidi e precisi») anche negli anni in cui l’Umberto barriva che dalle sue parti «una pallottola costa 300 lire e se un giudice vuole coinvolgerci sappia che la sua vita vale 300 lire» o chiamava Silvio Berlusconi «quel brutto mafioso che guadagna i soldi con l’eroina e la cocaina» o ancora buttava fuori dal partito tutti i leghisti che teorizzavano la necessità d’un accordo col centrodestra, come l’allora segretario del Carroccio piemontese Domenico Comino, del quale proprio lui, l’allora giovane Cota, fu incaricato di prendere il posto per la clamorosa svolta successiva, l’abbraccio col Cavaliere prima vietatissimo. Svolta che allo stesso Roberto Cota fruttò subito la presidenza del Consiglio regionale del Piemonte e successivamente l’elezione a governatore, presto infilzato da Massimo Gramellini come «uno schiavo nubiano» che «reggeva il posacenere» al Senatur. Obiezioni alla conversione attuale? Nessuna. Cambiare idea è del tutto legittimo («Winston Churchill fece il suo ingresso ai Comuni come deputato conservatore nel 1900, ma passò ai liberali nel 1904 e ridivenne conservatore nel 1925», ricorda Sergio Romano) e se i partiti rovesciano i loro principi può essere anche doveroso. Ma ha senso ritoccare la propria biografia politica come quella di «un moderato» che ritrova tra i berlusconiani la «collocazione naturale» per chi pochi anni fa era ancora alle sorgenti del Po con Matteo Salvini (già segretario vicinissimo alla Le Pen) e Umberto Bossi a rimpiangere (vedi Ansa) di «non essere andati fino in fondo con la secessione» e a rinnegare «l’abbraccio mortale di Berlusconi»? Mah...