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 2020  dicembre 30 Mercoledì calendario

Tomás Saraceno e i suoni del cosmo

«Vi farò ascoltare le galassie e i buchi neri, i suoni delle onde gravitazionali, le vibrazioni della spazzatura spaziale»: è un ben strano concerto di Capodanno quello che Tomás Saraceno ha creato per il Comune di Roma. Non semplice musica, ma un «esperimento sensoriale multiplo» – come dice lui in un italiano appreso da bambino – da vivere attraverso Internet, o lo smartphone, o semplicemente la radio. Anche al telefono dall’Argentina, dove è nato 47 anni fa, riesce a trasmettere un incontenibile entusiasmo per quello che fa. D’altronde è uno degli artisti più riconosciuti sulla scena, guida un gruppo di 50 persone che lavorano con lui e ha collaborato con gli scienziati di mezzo mondo. Anche questo concerto è stato partorito così.

Tutto è nato da Wanda Díaz-Merced, membro dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo di Pisa, che a vent’anni ha perso la vista ma non ha rinunciato al suo amore per il cielo. «Gli astronomi di solito usano gli occhi. Io ho cominciato a usare le orecchie per esplorare l’universo». Per questo ha campionato una serie di suoni che corrispondono alle informazioni ricevute dallo spazio profondo.
Così è scaturita l’idea di una composizione cosmica: musica ambient elettronica che si fonde, in un video, con immagini spaziali. E – inevitabile, per chi conosce l’arte di Saraceno – con filmati i cui i protagonisti sono i ragni. Sul mondo aracnide l’artista ha costruito infatti un’estetica e un linguaggio, ne ha fatto il centro del suo universo emotivo e visivo. Non a caso il progetto si intitola How to hear the universe in a spider/web . (Come ascoltare l’universo in una ragnatela).
L’appuntamento è alle dieci di sera del 31 dicembre. Che cosa ci farà ascoltare?
«Non sentiremo certo Stravinskij, e nemmeno i fuochi d’artificio che tanto spaventano gli animali.
Ascolteremo una galassia a spirale, la AGC7849. E poi una collisione di buchi neri avvenuta milioni di anni fa. E abbiamo sonorizzato anche il particolato, che avvelena l’aria: abbiamo reso udibile l’inquinamento in cui viviamo.
Vogliamo dare un benvenuto in una forma nuova all’anno che viene, ricordando che la pandemia è stata conseguenza dei danni che stiamo facendo alle specie che vivono con noi. È un invito a riflettere sull’armonia necessaria da ristabilire. Per questo vorremmo connettere le persone senza farle uscire di casa. Anzi: non solo le persone, ma tutti gli esseri viventi e l’universo che ci circonda».
È un’opera tutta digitale. Il virus sta cambiando l’arte? Saremo costretti a vivere solo in un’estetica virtuale?
«Aspetti, non è solo questo. Io sono molto critico sul digitale e basta. Il concerto non è soltanto un evento virtuale. Abbiamo lavorato non solo sui suoni ma anche sugli infrasuoni che normalmente non sono udibili.
Attraverso gli smartphone invitiamo a percepire le vibrazioni dello spazio. Lo spazio vibra, la Terra vibra: sapeva che durante la pandemia la vibrazione emessa dal pianeta è diminuita dal 30 per cento? Gli animali percepiscono tutto questo, così come avvertono l’arrivo dei terremoti o degli tsunami. Gli umani non più. Allora la domanda è: come espandere la nostra sensibilità, come riuscire a sentirci parte della famiglia estesa del vivente? Anche per questo chiediamo a chi può e vuole di trovare una ragnatela in casa e guardare come reagisce alle vibrazioni. Mi piacerebbe che la gente capisse che non deve eliminare i ragni per forza. Diciamolo: non ci sono solo umani in questo Pianeta».
Facile per lei: nel suo studio a Berlino coltiva centinaia di ragnatele...
«Io lascio semplicemente che i ragni vivano. Possiamo convivere molto bene con loro. Dobbiamo combattere la paura dei ragni, l’aracnofobia è totalmente ingiustificata. La statistica dice che negli ultimi cento anni ci sono stati meno di cento morti per morsi di ragno. Sono animali preistorici, vivono sulla Terra da 280 milioni di anni, gli umani da soli 310 mila. Siamo in svantaggio, siamo gli ultimi arrivati.
Quando mi dicono: tu tieni molti ragni nello studio, io rispondo: sono loro che tengono me».
Quando se ne è innamorato?
«Da piccolo vivevo in Italia, a Pasian di Prato, quattro chilometri da Udine. Avrò avuto dieci o undici anni e andavo in soffitta pensando di essere solo. Inve ce scoprii che era piena di vita. Sono i momenti che ricordo di più: quella penombra, la poca luce che filtrava dalla persiana illuminava ragnatele giganti, costruzioni incredibili, interi universi. Rimanevo a bocca aperta».
E poi li ha trasformati in una filosofia, in un progetto esistenziale, estetico e, direi, politico. Pensa che l’arte debba avere una missione sociale, un messaggio civile?
«Sì, per questo voglio sempre mettere insieme conoscenze e saperi diversi: unire gli artisti, gli scienziati, ma anche gli attivisti che si impegnano per cambiare le cose sul nostro Pianeta. Dobbiamo connetterci, proprio come una ragnatela. Però non sono contrario all’arte più tradizionale. Mi piace che ci siano differenze: la biodiversità ci arricchisce no?».
Lei è un artista molto affermato.
Ma sa che corre un rischio? Molti apprezzano le sue opere, ma sorridono delle sue teorie.
«E vabbe’ (ride ). Va bene, va bene. Se non sogniamo non possiamo vivere, i sogni sono necessari. Anche questa è una funzione dell’arte. Tutti hanno questo esigenza di pragmatismo sfrenato, di risposte immediate, di una conoscenza frettolosa che ci sta portando invece alla distruzione totale. A chi ride io rispondo: ride bene chi ride ultimo. Io credo che i ragni rideranno meglio di tutti».