La Stampa, 29 dicembre 2020
Venezia mette in vendita i palazzi-gioiello
«Venezia che muore» cantava Francesco Guccini nel 1981. Ancora non immaginando la coda della lunga agonia della città «appoggiata sul mare». Che, nel tentativo di sopravvivere, continua a sovrapporre affannosamente la sua immagine alla cartolina che negli anni si è dipinta addosso. Un lungo e doloroso percorso che sta avendo come tappe la progressiva messa a reddito del suo patrimonio culturale. Ultima della lista sarà la Casa dei Tre Oci, splendido palazzo di inizio ’900, situato sull’isola della Giudecca e che affaccia sul Bacino di San Marco. Spazio espositivo, dedicato soprattutto alla fotografia, da 20 anni di proprietà dalla Fondazione di Venezia, che ora ha deciso di vendere. «Ma la Casa dei Tre Oci non diventerà un albergo» sostengono, all’unisono, Michele Bugliesi ed Emanuela Bassetti, presidente della Fondazione e presidente e amministratrice delegata di Civita Tre Venezie, che gestisce i Tre Oci. La vendita dell’edificio è stata votata dal Consiglio generale, insieme all’alienazione della sede veneziana della Fondazione e di un palazzo nel distretto di M9, il museo del ’900, inaugurato a Mestre due anni fa. Tutto è di proprietà della Fondazione di Venezia, tanto che i più maliziosi spiegano la vendita dei Tre Oci come un tentativo di coprire il «buco» causato da M9. Smentisce Bugliesi: «Vendiamo per ricavare utili da reinvestire sul territorio. Il 30% del patrimonio della Fondazione di Venezia, pari a 120 milioni di euro, è stato investito in immobili, e questo non va bene».
Al di là delle intenzioni di Fondazione, il tema ora è capire cosa sarà della Casa dei Tre Oci. È palpabile il timore di una sua riconversione in hotel di lusso, come già avvenuto con diversi gioielli della città. La destinazione d’uso attuale, di tipo espositivo, dovrebbe impedirlo. «Sono già pervenute delle proposte, ma la vendita è subordinata a un dialogo. La Casa dei Tre Oci non sarà ceduta a chi vorrà farne un albergo», assicura Bassetti. Non bastasse la buona parola, per una riconversione sarà comunque necessario il via libera di Consiglio comunale e Soprintendenza. Intanto, la Fondazione sta cercando una nuova sede, sempre in laguna. Pur con le relative differenze, l’operazione segue una lunghissima lista di privatizzazioni dei palazzi storici della città, spesso con parallela deviazione verso fini tutt’altro che culturali.
Rilevato dai Benetton, ha aperto nel 2016 il Fondaco dei Tedeschi. Dal Duecento, base di scambio commerciale tra l’Oriente e il Nord Europa, nel passato più recente era stato sede delle poste. Ora, trasformato in una sorta di Galeries Lafayette lagunari. Ed è ancora più doloroso l’epilogo del Cinema teatro Italia, gioiellino Liberty riconvertito sempre nel 2016 in supermercato Despar, mantenendo affreschi e stucchi originari. Mentre è più codificata la riconversione in hotel di lusso di palazzo San Cassiano, già sede di uffici del tribunale; del palazzo seicentesco Ca’ Corner - Reali, che ospitava il Tar del Veneto; di palazzo Papadopoli, sede del Provveditorato agli studi e del Cnr; e di Ca’ Nani Mocenigo, già sede del dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari. Una lunga lista che ha contribuito a disegnare un nuovo profilo di Venezia, a beneficio di un turismo spesso disinibito.
Una catena che nemmeno la pandemia è riuscita a spezzare, nell’ostinazione di percorrere un cammino sul quale, tuttavia, si è abbattuta una valanga: la paralisi del turismo, che a Venezia si fa sentire più che in altre città. «Il turismo, negli anni, ha drogato il sistema, ma ora Venezia è una tela bianca», sostiene il progettista culturale Massimiliano Zane. «È necessario un colpo di reni per tornare a una dimensione urbana, per capire quali sono gli elementi che Venezia ha perso nel tempo. Anche per questo bisogna guardare con attenzione alla vendita della Casa dei Tre Oci. Se all’alienazione non dovesse seguire il promesso mantenimento dei suoi fini culturali, agli occhi del mondo saremmo la città che vende uno dei suoi gioielli, con il beneplacito dell’amministrazione comunale. A breve otterremo un’enormità di soldi, grazie al Recovery Fund: non rendiamola l’ennesima occasione sprecata», conclude.