Il Sole 24 Ore, 29 dicembre 2020
Perché il prezzo della soia è schizzato in alto
La soia, barometro delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, segnala bel tempo: Pechino non solo ha smesso di boicottare le forniture americane, ma le importazioni da Washington sono addirittura triplicate rispetto all’anno scorso. Un vero e proprio boom di acquisti che ha innescato una spettacolare ripresa delle quotazioni internazionali dei semi.
Sulla piazza di Chicago la soia si è apprezzata di oltre il 30% da agosto, arrivando a scambiare per la prima volta da sei anni sopra la soglia psicologica dei 12 dollari per bushel. La corsa ancora non accenna a fermarsi: ieri, nella settima seduta consecutiva di rialzi, il record è stato aggiornato per l’ennesima volta a 12,80 dollari.
Ad alimentare gli acquisti contribuisce uno sciopero dei lavoratori del settore in Argentina, in corso da quasi tre settimane (un accordo sembra comunque vicino). C’è nervosismo anche per il clima troppo secco in Brasile, che potrebbe nuocere al prossimo raccolto. Ma su quale sia il principale fattore di traino dei prezzi gli analisti non hanno dubbi: la Cina, che assorbe oltre il 60% delle esportazioni mondiali di soia, da mesi ha ricominciato a comprare a man bassa.
Le motivazioni sono diverse. E la politica le spiega solo in parte.
Pechino in generale sta importando enormi quantità di soia, dagli Usa e non solo, tanto che potrebbe superare nel complesso 100 milioni di tonnellate quest’anno, un record storico. C’è la pandemia da Covid, che ha spinto il Governo a rafforzare le scorte alimentari (non solo di soia ma anche di cereali) per prevenire possibili carenze o difficoltà di approvvigionamento. Inoltre il fabbisogno cinese di soia è aumentato con la fine dell’emergenza negli allevamenti di maiali: il numero di capi era stato dimezzato dalla febbre suina africana, che si era diffusada agosto 2018, ma oggi il recupero è già al 90% secondo il ministero dell’Agricoltura.
Il ritmo degli acquisti dagli Usa colpisce comunque in modo particolare, dopo che il commercio si era quasi azzerato all’apice della guerra dei dazi. Il mese scorso Pechino ha importato 6,04 milioni di tonnellate di soia americana, un aumento del 136% rispetto a novembre 2019. E non è solo un tema di stagionalità: gli Usa in questo periodo sono favoriti rispetto ai fornitori sudamericani, ma Pechino secondo fonti Bloomberg sta continuando a ordinare soia «made in Usa», anche per consegna febbraio, mese in cui l’export dal Brasile tornerà ad essere abbondante. E comunque se si allarga la visione all’intero 2020 il quadro non cambia: fino al 17 dicembre l’Usda registra vendite di soia alla Cina per 31,8 milioni di tonnellate, contro i 10,5 milioni di tonnellate dell’anno scorso. Dal Brasile Pechino ha importato il doppio, ma l’inversione di rotta è comunque notevole e si può spiegare solo con una volontà di distensione nei rapporti commerciali con Washington, forse legata anche al cambio della guardia alla Casa Bianca. Il ritorno di interesse per i prodotti agricoli americani è particolarmente accentuato: in questo settore gli obiettivi della Fase 1 dell’accordo commerciale con gli Usa sono stati raggiunti al 76% nei primi dieci mesi del 2020, con importazioni cinesi per 29,6 miliardi di dollari, secondo il Peterson Institute for International Economics (Piie), che monitora i dati dello US Census Bureau. Per petrolio, gas e altri prodotti energetici Pechino è ferma al 35% del target, con acquisti per appena 8,1 miliardi finora.