il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2020
Intervista a Brunello Cucinelli
“Quando hai la morte negli occhi, o solo la paura che ti soggioga, non pensi a come devi vestirti, certo non hai testa per il cachemire”.
Il grosso guaio è che Brunello Cucinelli vende cachemire.
Però Cucinelli sa che questa sventura avrà una fine. Sa che tra due mesi saremo quasi liberi, sa che i risparmi delle famiglie italiane ammontano a diecimila miliardi di euro. Sa dunque quel che deve sapere per essere ottimista.
La pandemia allontana il lusso dalla realtà. Nell’infelicità collettiva il piacere, o l’idea che esso dona, diviene un fuor d’opera. Come se stonasse.
“È vero. Noi chiudiamo l’anno con un dieci per cento in meno del fatturato. Rispetto ad altri settori siamo stati anche meno colpiti. Ma abbiamo capito da subito che questa sventura non affonda i piedi in un crash della finanza come nel 2009. La Cina viaggerà l’anno prossimo a un +10 per cento del Pil, l’America del nord tra il 4 e il 5. Sono numeri che danno sollievo, e il vaccino è l’exit strategy. Due, tre mesi e finirà questo incubo, dico io.
Due mesi e il cachemire tornerà tra noi?
Il sentimento collettivo è cambiato, l’umore è cambiato. E noi che disegniamo i capi dobbiamo esserne interpreti.
Anche i maglioni avranno memoria del dolore?
Sappiamo che la nostra clientela cerca cose di alta qualità che resistano nel tempo. Vuole pagare ma vuole che conservino una vita lunga. E siano capi più sobri, con colori meno spinti, vivi, vulcanici. Una luce più soffusa, più dolce. Un affresco neutro, composto. Il nostro cachemire sarà così.
E chi lo comprerà?
Coloro che oggi non hanno voglia, e io dico giustamente, torneranno presto ad affacciarsi nei negozi. La produzione di articoli di pregio è il volto che l’Italia si è conquistata nel mondo. Abbiamo un capitale umano invidiabile, e un talento ancora adesso indiscutibile. Il mondo non ci chiede prodotti di poco conto e di poco prezzo, sa che da noi non li riceverebbe e soprattutto sa che noi non siamo competitivi su quel fronte. Dall’Italia chiede il meglio, ed è questa la nostra grande fortuna. Il 9 novembre, quando il vaccino è divenuto realtà, ho capito che ancora una volta ce l’avremmo fatta.
Ce la faremo, ma siamo in alto nella classifica dei decessi, e in coda per quanto riguarda il Pil.
Io credo che stiamo affrontando questa sventura in modo più che dignitoso. E sebbene la crisi abbia portato al default tante imprese, e alla fame vera tante persone, non c’è stato l’autunno caldo che si paventava, non si sono visti scontri di piazza, fenomeni di ira, di violenza. Segno che questo drammatico processo in qualche modo è stato governato, gestito. E c’è un altro segnale positivo.
Cucinelli, il super ottimista.
Vedo un’Italia meno litigiosa, con un lessico tutto sommato più custodito. Non ci sono punte di acredine incontrollata. Noto un qualche sforzo a ridurre l’insulto.
Legge pochi insulti?
Tutto sommato è andata meglio di ciò che temevo.
E i suoi dipendenti sono tranquilli e ottimisti come lei?
I 2100 dipendenti non hanno visto ridotto un euro del loro salario e nessuno è stato o sarà licenziato. Nei primi due mesi della pandemia il governo ci ha aiutato con la cassa integrazione e noi abbiamo compensato la differenza. Da maggio scorso facciamo da soli. Abbiamo deciso anche di non chiedere sconti ai fornitori. I contratti in essere sono stati rispettati e saldati. E poi abbiamo deciso di donare l’invenduto. Diamo alle associazioni che ce li chiedono i capi di alta qualità che sono in magazzino e non potranno più andare sul mercato. Sono micro doni che però facciamo con piacere. A me gratifica tanto.
I clochard con la griffe?
Le associazioni che chiedono avranno, nella misura del possibile certo. E poi sceglieranno loro i destinatari.
Cucinelli, San Cachemire.
Sa che diceva Tommaso Moro? Signore dammi la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare e la forza di cambiare le cose che posso cambiare.