La Stampa, 28 dicembre 2020
Biografia di Jeff Goldblum
Ho conosciuto Jeff Goldblum sul set delle Avventure acquatiche di Steve Zissou, un film in cui Wes Anderson si è rivelato talmente pazzo da coinvolgermi come attore. La pellicola venne realizzata interamente in Italia, e le scene nelle quali recitavo furono filmate al Teatro San Carlo e al Palazzo Reale di Napoli. Su quel set eravamo in molti a non essere attori professionisti: chi conosce il cinema di Wes Anderson sa che si diverte a mescolare interpreti straordinari con amici con i quali si sente a suo agio. Insieme a me c’era Toni Shafrazi, un grande gallerista di origine armena che negli Anni 70 imbrattò con vernice la Guernica, Isabella Blow, guru della moda contemporanea, e Robert Graham, apprezzato scultore nonché marito di Anjelica Huston, la quale aveva un ruolo importante nel film. Eravamo tutti divertiti per quell’esperienza totalmente inaspettata, ma credo che fossi di gran lunga il più preoccupato di fare una pessima figura. Fu Jeff ad accorgersi del mio stato d’animo, e si propose con affetto ed ironia nel ruolo di mentore: era il suo modo per sigillare quella sensazione unica di trovarsi in un film dove tutti, per dirla con Robert Louis Stevenson, giocavano con la serietà dei bambini.
Da allora ci siamo tenuti in contatto, e credo di poter dire che è nata una bella amicizia: ogni volta Jeff che si trova a New York viene a cena casa nostra, e quando mi trovo a Los Angeles mi invita ad ascoltare il concerto che tiene ogni giovedì con la sua Mildred Snitzer Orchestra. È questa la sua autentica passione: Jeff ama suonare il pianoforte e cantare, con un repertorio che va dal jazz agli standard classici dei crooner. Non solo, tra un brano e l’altro dialoga con il pubblico, intrattenendolo con aneddoti e indovinelli: ne risulta uno spettacolo originale ed estremamente piacevole, dove è lui il primo a divertirsi. È un artista poliedrico e generoso, Jeff, come ha dimostrato del resto nel cinema: tra gli attori americani è tra coloro che ha alternato più frequentemente il puro cinema d’autore come Nashville e California Poker di Robert Altman a interpretazioni in popcorn movies quali Independence Day.
Quando lo incontri per la prima volta rimani impressionato dalla sua stazza: sullo schermo non si direbbe che sfiora i due metri d’altezza ed è così muscoloso. È sempre sorridente, ed ha il dono impagabile dell’autoironia: ha gesti sinuosi, avvolgenti, e muove costantemente le dita affusolate con moine da gatto. A conoscerlo superficialmente sembrerebbe una persona dedita esclusivamente alla leggerezza, ma basta parlarci un attimo per capire che è in grado di affrontare qualunque argomento, e che soprattutto, è dotato di un’altra virtù rara, la curiosità. È nato a Pittsburg, città alla quale ha dedicato un film da regista, in una famiglia ebraica ortodossa di origine russa.
Quando aveva vent’anni Jeffrey Lynn Golblum, questo il suo vero nome, ha visto morire davanti a sé il fratello Lee di dissenteria dopo un viaggio di famiglia in Marocco: un trauma che lo ha sconvolto e ha deciso di avvolgere nel silenzio. Una volta feci l’errore di fare un riferimento a quel dolore e lui mi disse semplicemente «non è mai saggio guardare il sole durante l’eclissi». A diciassette anni decise di trasferirsi a New York con l’intenzione di diventare un attore: recitare era stato il sogno del padre Harold, prima che decidesse di diventare un medico. Jeff ha iniziato a lavorare come interprete teatrale, e le cronache dicono che sia stato eccellente in un celebre allestimento a Broadway dei Due gentiluomini di Verona di Shakespeare. Dopo un po’ di gavetta televisiva, che l’ha visto partecipare anche un episodio del tenente Colombo, gli venne affidato un ruolo da Michael Winner nel Giustiziere della notte. Il film era brutto e reazionario, e Jeff compariva appena, ma abbastanza perché Altman si accorgesse del suo talento, e quindi anche Paul Mazursky e Woody Allen, che lo vollero in brevi cameo in Stop a Greenwich Village e Io & Annie. Il grande successo arrivò però negli anni Ottanta, grazie a Lawrence Kasdan, che lo scritturò nel Grande Freddo e Silverado, e poi con John Landis e David Cronenberg, che lo chiamarono come protagonista in Tutto in una notte e La mosca. Se si mettono in parallelo questi due film, risulta evidente come il fisico possente sia utilizzato nel primo caso come elemento di imbarazzo e goffaggine, nel secondo per evidenziarne le formidabili potenzialità distruttive. Negli anni successivi ha alternato film trascurabili ad altri dallo straordinario successo commerciale, continuando a rimanere un’icona per registi di culto: dopo Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Wes Anderson gli ha offerto un ruolo memorabile in Gran Budapest Hotel: il deadpan con cui reagisce sconcertato all’uccisione del suo gatto è un piccolo capolavoro di tempi comici, che esalta un eclettismo che lo ha portato a interpretare con analogo successo serie televisive di genere diversissimo quali Law & Order.
Oggi è felicemente sposato per la quarta volta con la ginnasta Emilie Livingston, di trent’anni più giovane, dalla quale ha avuto due figli, e a vederli insieme si ha l’impressione di una coppia assolutamente armonica: «È delizioso avere qualcuno di cui ti fidi completamente», ti spiega, e durante i suoi concerti lei è sempre la più divertita, come se ogni sera li vedesse per la prima volta.
Ma in passato è stato un impenitente tombeur de femmes, e dopo un primo matrimonio con l’attrice Patricia Gaul, ci sono state innumerevoli conquiste e altri legami stabili, come quello con ballerina Katherine Wreford, la seconda moglie Geena Davis e la terza Laura Dern. Una personalità così seria nel gioco, oltre che con Wes Anderson non poteva non trovarsi a suo agio con Steven Spielberg, e la leggenda vuole che abbiano elaborato insieme la battuta più famosa del film: «Dio crea i dinosauri, Dio distrugge dinosauri. Dio crea l’uomo e l’uomo distrugge Dio. L’uomo crea i dinosauri».
Con il solito atteggiamento disincantato, presta la propria voce alle pubblicità della Apple, e non fa mistero di accettare i ruoli nei sequel di film di grande successo per questioni squisitamente commerciali: il salario ottenuto per Independence Day: Resurgence è stato di 15 milioni di dollari e quello per Jurassic World: Fallen Kingdom di 18 milioni. «sarei ipocrita a dire che non mi fa piacere guadagnare queste cifre, è ancora più ipocrita a sostenere che non abbia fatto pressione sul mio agente perché le ottenesse. Ma so che a Hollywood il successo può scomparire in un baleno e so ancora meglio che i film che mi rendono orgogliosi sono altri. E i momenti che mi rendono davvero felici sono quelli di fronte al mio pianoforte e un pubblico che si diverte insieme a me».