la Repubblica, 28 dicembre 2020
Il riscatto di Pfizer grazie al virus
La folle corsa della Pfizer per battere tutti i record di velocità nella produzione del vaccino anti-covid è la storia “buona” che chiuderà il 2020. Un thriller affascinante e ricco di sorprese. Ovvero come Pfizer, colosso dell’odiata Big Pharma, finora celebre per il Viagra e per alcune pratiche controverse, si è candidato a benefattore dell’umanità. È riuscito in questa metamorfosi – una delle più spettacolari operazioni di relazioni pubbliche della storia – grazie a un top manager americano di origine greca e a due scienziati tedeschi immigrati dalla Turchia. Il Vaccine Day cominciato in Inghilterra, Canada e Stati Uniti, arrivato finalmente in Europa, è il coronamento di 171 anni di una storia globale: la Pfizer, che oggi ha il suo quartier generale sulla 42esima Strada a Manhattan, venne fondata in America nel 1849 da due chimici immigrati da Ludwigsburg, Germania. Divenne uno dei massimi produttori di penicillina per curare i soldati americani nella seconda guerra mondiale. Stava per diventare irlandese (meglio: “estero- vestita”) quattro anni fa, quando la sua fusione con Allergan venne bloccata dal fisco americano: il vero scopo era una maxi-elusione d’imposte.
Negli ultimi decenni la crescita forsennata di Pfizer è stata segnata da mega-acquisizioni come quella di Warner-Lambert nel 2000 che ne fece la seconda casa farmaceutica mondiale. Da processi famosi, come quello avviato dopo le accuse di corruzione verso la classe medica avanzate da un’assicurazione sanitaria americana; o lo scandalo del 1996 in Nigeria quando morirono 50 bambini dopo la somministrazione di un antibiotico sperimentale. Ma soprattutto, la fortuna di Pfizer si è costruita su una gamma di medicinali dove i vaccini sono marginali. Le macchine da soldi sono altre: le statine come il Lipitor contro il colesterolo, i medicinali per l’ipertensione o l’artrite reumatoide, gli antibiotici, gli antidepressivi come Zoloft, oltre ovviamente al celebre Viagra (disfunzione erettile), nato per caso nel 1989 cercando un farmaco per malattie cardiache. Proprio perché i vaccini non sono mai stati un grande business (troppo regolati dai governi, non offrono grandi margini di profitto), appare straordinaria la sfida di questo 2020.
Albert Bourla, il chief executive greco che guida Pfizer solo dal 2019, ha capito che l’opportunità andava ben oltre il conto economico: riscattare l’immagine del suo mestiere. C’è riuscito adottando scorciatoie da brivido, con metodi spregiudicati: ha bruciato tutti i tempi usando per la produzione del vaccino una tecnologia mai approvata prima dalle authority sanitarie. Il precedente record di velocità apparteneva al vaccino contro gli orecchioni, messo a punto nel 1967 dopo “soli” quattro anni. Pfizer lo ha polverizzato riducendolo a nove mesi. Il passaggio dalla “ricostruzione della sequenza virale” alla Fase Uno dei test clinici sui pazienti- cavie aveva aveva richiesto 20 mesi per la Sars nel 2003, è stato ridotto a due mesi per il covid. Fra quattro giorni Pfizer chiuderà l’anno avendo prodotto 50 milioni di dosi. Ha bruciato sul traguardo la Moderna e tutti gli altri concorrenti, a partire dal 3 dicembre quando Londra diede il primo via libera al vaccino Pfizer, seguita il 9 dicembre da Ottawa, l’11 da Washington, il 21 da Bruxelles. Solo negli Stati Uniti e nel Regno Unito già due milioni di persone sono state inoculate con la prima dose Pfizer, che con questi numeri ha “sorpassato” perfino il vaccino di Stato cinese.
Tutto comincia dalla scommessa del “greco” Bourla di selezionare i “turco-tedeschi” della BioNTech, quasi un ritorno alle origini germaniche della Pfizer. L’azienda di Berlino era già un partner collaudato per Pfizer nei vaccini anti-influenzali. Il metodo usato per il covid da BioNTech è quello delle molecole “messaggere” del RNA, col codice genetico che istruisce le cellule per produrre proteine. Bourla fin dall’inizio dell’anno ha preteso dai partner tedeschi e da tutto il management della Pfizer una tabella di marcia pazzesca: il vaccino doveva essere prodotto su scala industriale a ottobre di quest’anno, anziché a metà del 2021 come prevedevano gli esperti più ottimisti. Ha investito due miliardi di dollari nell’operazione, «senza finanziamenti pubblici», tiene a precisare: i fondi stanziati dall’Amministrazione Trump per la Pfizer sono andati solo a pagare l’acquisto del vaccino stesso, non la ricerca. Una scelta di indipendenza che ha consentito maggiore rapidità, ma non ha impedito rallentamenti dovuti alle richieste dell’authority farmaceutica: il 30 giugno la Food and Drugs Administration (Fda) ha imposto di allargare a 30.000 il parco- cavie dei pazienti soggetti ai test clinici. Pfizer ha dovuto costruire impianti ex novo perché mai in precedenza aveva fabbricato vaccini con questa tecnologia. Ha dovuto risolvere problemi e strozzature di produzione a monte, sui componenti chimici del vaccino; a valle, sui super-congelatori per trasportarlo e conservarlo fino alla inoculazione di massa. Se il 2020 passerà alla storia come l’anno tragico della pandemia, in subordine potrebbe diventare anche l’anno in cui un pezzo di opinione pubblica si è riconciliato non solo con la scienza ma anche con l’industria farmaceutica. Le polemiche sono già affiorate, per esempio sulla distribuzione ineguale dei vaccini: prima nei paesi ricchi dell’Occidente che hanno le tasche larghe e hanno pagato in anticipo gli ordinativi. In questo caso però le denunce terzomondiste hanno meno fondamento che in passato: il covid ha colpito in modo soverchiante l’Occidente, i numeri restano molto più bassi in Asia e in Africa. Il primato della Pfizer non è eterno, il suo vaccino è già stato raggiunto da quello della Moderna, altri sono in arrivo. Ma il 2020 resterà un anno speciale, in cui il “capitalismo sanitario” americano ha assaporato un riscatto.