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 2020  dicembre 27 Domenica calendario

Il dualismo tra Tolstoj e Dostoevskij

«Provate a chiedere a un uomo se preferisce Tolstoj o Dostoevskij e conoscerete il segreto del suo cuore»: a partire da questo dilemma George Steiner, appena trentenne, costruisce nel 1959 il suo grande saggio d’esordio. Ispirato da una riflessione del filosofo russo Nikolaj Berdjaev («Si potrebbero distinguere due strutture psichiche, due tipi d’anima, uno predisposto ad accogliere lo spirito tolstoiano, l’altro lo spirito dostoevskiano»), il critico intraprende un affascinante viaggio nella sterminata produzione di due giganti della letteratura. «La scelta tra Tolstoj o Dostoevskij – spiega Steiner nelle prime pagine del libro in cui la drastica alternativa campeggia già nel titolo: Tolstoj o Dostoevskij (Edizioni Paoline, 1965; Garzanti, 1995) — adombra quello che gli esistenzialisti definirebbero un engagement; essa consegna la nostra immaginazione all’una o all’altra di due interpretazioni del destino umano, del futuro storico e del mistero di Dio che sono radicalmente opposte».
Un confronto, insomma, in cui si scontrano due antitetici sistemi di pensiero, due diverse visioni della vita, della religione e della maniera di svelare le parti più nascoste della realtà. Ma perché proprio Dostoevskij e Tolstoj? Perché non mettere a confronto l’autore di Delitto e castigo con altri romanzieri ottocenteschi come Honoré de Balzac o Charles Dickens? Per Steiner, la risposta è del tutto personale: «Lasciatemi affermare la mia incrollabile convinzione della supremazia di Tolstoj e Dostoevskij tra tutti i romanzieri. Essi eccellono per ampiezza di visione e forza di espressione». Si tratta di una convinzione «non dimostrabile», come tutti i «giudizi» espressi dai critici. Ma nessuno dei grandi romanzieri, insiste Steiner, è riuscito a dipingere un quadro così completo della vita dell’uomo attraverso la descrizione della sua dimensione quotidiana ed eroica (Tolstoj) o della sua anima esplorandone le pieghe più profonde e sotterranee (Dostoevskij). 
In questi colossi – che, pur scrivendo nella stessa lingua e nello stesso periodo, vissero senza mai incontrarsi – «l’impulso creativo e quello teso alla conoscenza sistematica» sono stati fortemente condizionati dalla «pressione dell’esperienza». Alla stessa maniera, la loro debordante energia li ha spinti a plasmare opere d’imponente vastità: la «taglia» dei romanzi, l’abbondanza dei personaggi, il pullulare delle idee esprimono la potenza della loro visione del mondo. Si tratta di una dualità in cui trovano posto due concezioni opposte della letteratura. Dostoevskij è un romanziere tragico, Tolstoj epico. Da una parte, la tradizione shakespeariana, in cui «il senso tragico della vita, inteso nel vecchio modo, è completamente rinnovato». Dall’altra, la rinascita dell’epica omerica e «il ritorno (...) di forme che erano scomparse nella poetica occidentale dai tempi di Milton».
Dostoevskij esprime con chiarezza il suo entusiasmo per William Shakespeare, lo considera un profeta inviato per svelare i misteri dell’animo umano. E, per Steiner, la concezione del «tempo» dell’autore russo è tipicamente teatrale: concentrare un gran numero di azioni e di sviluppi in un arco cronologico molto limitato, racchiudere in una sola giornata gli avvenimenti principali dell’Idiota, in meno di quarantott’ore le vicende dei Demòni e in soli cinque giorni (con l’esclusione del processo) il racconto dei Fratelli Karamazov, significa far coincidere il rapido ritmo del racconto con la velocità della creazione (la scrittura dell’Idiota, per esempio, trova il suo compimento in poco più di tre settimane). Dostoevskij, in effetti, costruisce i suoi romanzi come tragedie e i suoi personaggi vengono presentati come eroi tragici che commettono dei crimini.
Ma è nella concezione stessa dell’essere umano che Dostoevskij si differenzia da Tolstoj: affascinato dalla presenza del male e della perversione, concentra la sua attenzione sui conflitti interiori dei protagonisti che, come in una pièce teatrale, vengono lasciati al totale arbitrio dell’imprevedibilità dell’azione. E nonostante la centralità di Cristo, Dostoevskij non ha mai nascosto il suo tormento sull’esistenza di Dio, a tal punto che Steiner percepisce in lui una mistica pura che non ha equivalenti nella concezione religiosa di Tolstoj. Un confronto ricco di spunti e di riflessioni. Ma privo di una risposta finale: Steiner lascia al lettore la scelta personale tra l’uno o l’altro dei due grandi romanzieri.