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 2020  dicembre 27 Domenica calendario

Shanghai, 1921: l’alba rossa della Cina

La rivoluzione del 1912 decretò la fine dell’impero Qing e la nascita della Repubblica di Cina. Sun Yat-sen, fondatore del Partito nazionalista (Kmt) e leader della rivoluzione, fu nominato presidente provvisorio, carica che cedette dopo due mesi a Yuan Shikai, che si rivelò intenzionato a restaurare l’impero. Il suo progetto non andò a buon fine e, quando nel 1916 morì, lasciò un vuoto di potere, colmato dai signori della guerra. Giovani intellettuali, formatisi per lo più all’estero, reagirono al caos istituzionale: tra questi Chen Duxiu e Li Dazhao svolsero un ruolo di primo piano nel promuovere il rinnovamento culturale e nel diffondere le idee marxiste, ispirandosi anche alla rivoluzione russa. Intellettuali e studenti mobilitarono le piazze, contestando il sistema di valori confuciano, ritenuto causa principale dell’arretratezza della società, e proposero svolte radicali, come l’istruzione di massa e modelli di sviluppo e governo occidentali, adattati al contesto cinese. Presero vita organizzazioni operaie, associazioni culturali, circoli marxisti, leghe sindacali, movimenti rivoluzionari. 
In questo clima nel luglio 1921 i delegati dei primi nuclei di ispirazione marxista-leninista si riunirono a Shanghai per fondare, presenti due rappresentanti del Comintern, il Partito comunista cinese (Pcc), del quale fu nominato segretario Chen Duxiu. L’anno dopo fu decisa l’adesione al Comintern, con l’obiettivo di modificare la natura semifeudale e semicoloniale della società cinese. 
Il Pcc non ebbe origine dunque da una scissione all’interno della tradizione socialdemocratica, che pur esisteva in Cina, ma grazie all’influenza e alla guida esercitata dai russi. Il profondo legame che si instaurò con il Comintern determinò a lungo la linea del partito e fin dall’inizio venne accettata la strategia prevista per i Paesi colonizzati: non avendo i neonati partiti comunisti la forza sufficiente per instaurare un proprio governo, la rivoluzione avrebbe dovuto essere preceduta da una pseudo rivoluzione democratico-borghese. In modo pragmatico venne così deciso di collaborare con i nazionalisti di Sun Yat-sen e nel 1924 nacque il Primo fronte unito, con la benedizione sovietica. Morto Sun (1925) crebbero le tensioni tra chi intendeva mantenere il legame con l’Urss e chi, specie nel Kmt, considerava giunto il momento di liberarsi dell’alleato. Chiang Kai-shek, ex braccio destro di Sun Yat-sen, divenne capo del Kmt e dell’Esercito rivoluzionario nazionale nel 1926 e l’anno successivo, dopo una serie di successi militari, ruppe l’alleanza con i comunisti, che furono massacrati a decine di migliaia insieme ai militanti progressisti dello stesso Partito nazionalista. I comunisti reagirono dando vita all’Armata rossa cinese e fomentando rivolte e insurrezioni, per lo più represse nel sangue. Furono anni di profondi conflitti sia nel partito sia con i consiglieri sovietici e il Comintern. Nel 1928 l’inadeguato Chen Duxiu venne destituito.
Tra il 1930 e il 1934 l’esercito nazionalista condusse diverse campagne contro l’Armata rossa, costringendola ad arretrare. Ebbe così inizio la Lunga marcia. Mao Zedong guidò l’esercito dal sud al nord, fino a Yan’an, percorrendo in 368 giorni circa 12 mila chilometri, «superando 18 catene montuose e 24 fiumi, attraversando 12 province e occupando 62 città» come riportò Edgar Snow in Stella rossa sulla Cina. Nel 1935 Mao divenne membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico e, di fatto, leader informale del Pcc. Con lo scoppio della seconda guerra sino-giapponese (1937-1945), Pcc e Kmt furono costretti a collaborare nuovamente. Nel 1945, forte del prestigio e della popolarità tra la popolazione e all’interno del partito, Mao venne nominato presidente del Comitato centrale e l’anno successivo la lotta tra Pcc e Kmt riprese con vigore. All’inizio del 1949 Mao propose un negoziato di pace, che spinse Chiang alle dimissioni. Il 1° ottobre 1949 Mao proclamò a Pechino la nascita della Repubblica popolare. La guerra civile durò ancora un anno, finché i nazionalisti si ritirarono nell’isola di Taiwan, dove istituirono la Repubblica di Cina.
Seguendo il modello sovietico, furono introdotti piani quinquennali e un’economia pianificata. Nel tentativo di trasformare rapidamente il Paese in potenza industriale, nel 1958 Mao lanciò il «grande balzo in avanti», un piano economico che si rivelò disastroso, causando l’impoverimento ulteriore e la morte per fame di decine di milioni di contadini. Seguirono anni difficilissimi. Nel 1966 Mao annunciò la Grande rivoluzione culturale proletaria «contro i borghesi infiltrati nel partito e nello Stato», mobilitando milioni di giovani, le guardie rosse, e dando il via a feroci epurazioni. Solo dopo la morte, nel 1976, fu possibile porre rimedio. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, Deng Xiaoping prese le redini del partito e introdusse radicali riforme strutturali, aprendo gradualmente all’iniziativa privata, al libero mercato e agli investimenti stranieri. Era nato il «socialismo con caratteristiche cinesi» grazie al quale il Paese è divenuto una superpotenza, facendo uscire dalla povertà assoluta circa 800 milioni di persone. 
Si deve però a Xi Jinping, eletto segretario nel 2012, il progetto di riportare la Cina «al centro del mondo», realizzando una sintesi tra i principi maoisti, il liberalismo economico di Deng e i valori tradizionali confuciani. Il Pcc, che aveva perso prestigio e credibilità anche a causa di una corruzione dilagante, ha riacquistato autorevolezza, tornando a essere, con oltre 91 milioni di iscritti, il fulcro del potere politico nella Cina continentale.